Il corpo del sindacalista marocchino del SI Cobas, Adil Belakhdim, è appena stato portato via. Di fronte ai cancelli del centro logistico Lidl di Biandrate in provincia di Novara, a terra, rimane della segatura. Intorno, colleghi e amici del sindacato lo piangono, organizzano le ore a venire, si preparano a raggiungere la prefettura, a dividersi per non lasciare sguarniti gli ingressi dei magazzini. E quando un dipendente si affaccia dall’interno si alza la tensione, gli gridano “assassino”. “Perché l‘azienda poteva e doveva evitare tutto questo, nessuno sarebbe morto se la dirigenza non avesse rifiutato più volte un incontro con i rappresentanti Cobas”. Un tavolo per verificare i contratti dei lavoratori, questo chiedevano Adil insieme ai lavoratori presenti al mattino presto. Fino alla tragedia, al camionista che non ha sentito ragioni e per uscire dai cancelli ha travolto alcuni di loro, uccidendo Adil. “Come si lavora qui dentro? Di merda, siamo schiavi”, rispondono alcuni dipendenti Lidl. “L’80 per cento è straniero, così oltre ai ricatti dell’azienda subisce quello dello Stato, attraverso la legge Bossi Fini sul permesso di soggiorno”.
La maggior parte dei contratti sono part-time, cinque ore al giorno per arrivare a 800 euro al mese. “Il resto lo fai con gli straordinari, ma gli straordinari vengono assegnati come fossero un premio, per chi corre come un matto e non fa storie, abbassa la testa”. Salvo poi che i conti non tornano. “Ho smesso di fare straordinari, perché non si capisce mai cosa ti pagano”. E un altro: “Pagano come vogliono, quello che vogliono, e se protesti, porti la busta paga per verificare, hai finito di fare straordinari”. Un altro ragazzo africano, da anni dipendente Lidl, racconta: “No, non ce la faccio con questo stipendio, per questo stamattina ero qui accanto a Adil a protestare. E non mi spiego perché debba trattarci così, l’azienda sponsor della nazionale italiana. Quando vedo la pubblicità in tv non ce la faccio, cambio canale”.