Il destino esiste? Se qualcuno un giorno si trovasse a trattare la questione da un punto di vista accademico, dovendo dimostrare la tesi dell’esistenza del fato di sicuro inserirebbe tra le prove a supporto la vittoria della Danimarca a Euro ’92. Perché se vinci una manifestazione calcistica internazionale, un Europeo, a cui non ti sei neppure qualificato e dove sei stato invitato una settimana prima della partenza, col tuo calciatore simbolo che rifiuta di partecipare, mentre il tuo popolo boccia nelle urne l’approvazione del trattato di Maastricht, un pilastro dell’Europa…beh allora un pensierino al destino devi farlo per forza.
Certo, all’inizio degli anni ’90 gli Europei erano una manifestazione sì sentita dai calciofili, notoriamente onnivori, ma certo neppure lontanamente paragonabile a un mondiale e non attesa come oggi. Otto squadre qualificate, due gironi e via, semifinale e finale: svelti, sbrigativi e semplici. Le qualificazioni per individuare le 7 squadre da inviare in Svezia, ottava qualificata in quanto paese ospitante, avevano assunto interesse più dal punto di vista geopolitico che calcistico. L’Unione Sovietica aveva iniziato il suo cammino battendo la Norvegia, nel settembre del 1990…salvo poi non esistere più come nazione a dicembre dell’anno successivo. Il girone C aveva visto una squadra spettacolare, la Jugoslavia, guadagnarsi l’appellativo di Brasile d’Europa dominando in lungo e in largo e qualificandosi come prima…salvo poi, anche in questo caso, non esistere più.
Alla Fifa di Havelange la patata bollente di risolvere le situazioni. Facile cavarsela con l’ex Unione Sovietica: i calciatori e le varie federazioni decidono che si può giocare uniti in forma sperimentale, con la maglia del “Csi”, Comunità degli Stati Indipendenti. Per l’ex Jugoslavia è un problema: Havelange decide di non decidere, affermando che “la Federazione Jugoslava esiste e funziona”, ma dalla Uefa alla Svezia paese ospitante la preoccupazione è enorme. C’è una guerra civile nei Balcani: si possono mandare a giocare insieme atleti di popoli che si stanno combattendo? Solo il 28 maggio, con la Jugoslavia già in ritiro che disputa l’ultima amichevole, la Fifa decide che no, quello splendido Brasile d’Europa di Pancev, Prosinecki, Savicevic, Stoijkovic e altri non può disputare gli Europei.
Viene chiamata la seconda del girone vinto dalla Jugoslavia: la Danimarca, coi giocatori già in vacanza, con il più rappresentativo, Michael Laudrup, ribattezzato da Platini “Il più forte giocatore che abbia mai visto in allenamento”, che dice di non voler lavorare con il ct Moller Nielsen, etichettato come “dilettante incapace”. In Svezia infatti ci va il fratellino minore Brian, tra i pochi a giocare fuori dalla Danimarca, al Bayern Monaco. Allo United gioca l’altro calciatore “conosciuto” degli scandinavi: il gigantesco portiere Peter Schmeichel. Le cronache dell’epoca raccontano di un’atmosfera da gita scolastica nel ritiro, organizzato in fretta e furia a Ystad: tanta allegria, un po’ di preoccupazione del ct per la condizione approssimativa, ma la consapevolezza che già essere lì è un successo. E infatti le prime partite parlano chiaro: con l’Inghilterra la “Danish Dynamite”, questo il nomignolo dato alla nazionale di calcio più che altro per il colore rosso delle divise, pareggiano a reti bianche, e nella gara successiva arriva la sconfitta nel derby scandinavo contro la Svezia, 1 a 0 con gol di Brolin.
Per passare bisogna vincere contro la Francia di Papin, Cantona, Deschamps, Blanc… Insomma, Moller e i suoi pensano già a richiudere le valige fatte frettolosamente pochi giorni prima. E invece la gara si mette subito bene: Henrik Larsen, non proprio il miglior colpo di Anconetani col Pisa, si ritrova solo in area e dopo 8 minuti porta la Danimarca in vantaggio. Papin pareggia nel secondo tempo ma mentre la Francia per cercare il gol del vantaggio prova a scardinare il muro gigantesco che Schmeichel gli alza contro arriva il contropiede che porta Elstrup a segnare e regalare la semifinale agli scandinavi. C’è l’Olanda contro, campione in carica e considerata la favorita per la vittoria finale: a Gullit, Rijkard e Van Basten, ormai sul tetto del mondo col Milan da anni, si sono aggiunti altri campioni come Bergkamp. Ma ormai la Danish Dynamite ci crede: ancora Larsen porta in vantaggio gli uomini di Moller, Bergkamp pareggia (stavolta con la complicità di Schmeichel) ma la Danimarca ritrova il vantaggio sempre con Larsen. A qualche minuto dalla fine Rijkard in mischia da calcio d’angolo regala il pareggio all’Olanda. Ai rigori sarà proprio Van Basten, che quattro anni prima con uno dei gol più belli di sempre aveva regalato il titolo alla sua nazionale, a sbagliare l’unico rigore dei suoi, con Schmeichel che porterà la Danimarca in finale.
Ad attendere l’allegra brigata di Moller i campioni del mondo della Germania e il Kaiser Beckenbauer ha pochi dubbi: “La Danimarca? Bella sorpresa…ma non vedo come potremmo perderla questa finale”. Una prima risposta arriva nella cerimonia di chiusura dell’Europeo, prima della partita: arrivano i parà con le bandiere delle 8 squadre, ne cade uno solo… quello con la bandiera tedesca. La seconda risposta al Kaiser arriva dal campo: con Schmeichel che semplicemente allungando una mano arriva a prendere i colpi di testa di Klinsmann nel sette e con Jensen, che invece nel sette ce la infila da fuori area. A 10 minuti dalla fine il gol del raddoppio di Kim Vilfort che regala alla Danimarca l’Europeo e agli eventuali interessati un elemento a sostegno dell’esistenza del destino.