“L’interazione sinergica fra piombo e arsenico provoca effetti ancora più marcati su varie funzioni del neurosviluppo nei bambini rispetto a quelli che si possono individuare con l’analisi ‘tradizionale’ che considera i singoli elementi tossici separatamente”. Roberto Lucchini è docente di Medicina del Lavoro. Si divide tra Brescia e la Florida International University di Miami, dove insegna. Al telefono risponde da Brasilia. C’è stata da poco la sentenza Ambiente Svenduto: in primo grado la Corte d’Assise ha stabilito che quello provocato dalla gestione privata della famiglia Riva tra il 1995 e il 2012 è stato un disastro ambientale. Ora gli occhi sono puntati sul Consiglio di Stato che a giorni dovrebbe pronunciarsi in merito all’ordinanza di chiusura dell’aria a caldo emessa dal Comune di Taranto e che invece fotografa l’emergenza ambientale e sanitaria dal 2012 ad oggi.
Non solo. Pochi giorni fa Il Fatto Quotidiano ha pubblicato la notizia che è stata consegnata al ministero della Transizione Ecologica guidato da Roberto Cingolani la nuova VDS, Valutazione del Danno Sanitario che attesta che a 6 milioni di tonnellate annue di acciaio “permane un rischio sanitario non accettabile”. 6 milioni di tonnellate di acciaio è esattamente la quantità che vuole produrre la fabbrica nella sua nuova veste di “Acciaierie d’Italia”, joint venture tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano attraverso Invitalia. E mentre è in atto questa discussione sul futuro della produzione di acciaio a Taranto, lo studio Lucchini arriva come un fulmine a ciel sereno. Riguarda un tema importantissimo: i disturbi del neurosviluppo nei bambini dai metalli pesanti, noti per essere neurotossici. Taranto è un territorio fortemente interessato dalla presenza di metalli pesanti. Per questo anche le virgole di questo studio sono importanti per tutela la salute dei più deboli.
Scusi professor Lucchini ma dove è uscito questo suo nuovo studio?
“Su Scientific Reports di Nature, il 10 maggio scorso”.
Ah recentissimo.
Per un contesto come quello di Taranto questa scoperta è fondamentale, perché lì abbiamo una ‘mistura’ di elementi nocivi nelle emissioni industriali e attraverso questo tipo di studi riusciamo a valutare le conseguenze sulla salute non solo dei singoli inquinanti, ma anche nell’interazione fra loro.
Professore ma questo studio è solo in inglese, perché la ricerca non è stata ancora tradotta in italiano?
Siamo ancora impegnati sull’analisi dei dati, per questo non c’è stata una comunicazione ufficiale.
Lo studio è anche firmato anche dal Dipartimento Salute della ASL di Taranto, che ha cofinanziato il progetto. Non crede sia necessario renderlo pubblico anche alla popolazione locale?
Ha ragione. La responsabilità è anche di noi ricercatori, che siamo immersi nei numeri e posticipiamo spesso la comunicazione, che invece è fondamentale tanto quanto i risultati dei nostri calcoli.
Non è la prima volta che uno studio fondamentale per la salute pubblica dei tarantini rimane non divulgato. Tra l’altro in un momento così delicato in cui vanno prese decisioni importanti per il territorio, sarebbe stato giusto darne adeguata diffusione. Veniamo alla ricerca. In pratica avete scoperto che se prendiamo il piombo e l’arsenico singolarmente osserviamo alcuni dei loro effetti nocivi, se però li valutiamo nella loro interazione ne spuntano molti altri. È così?
Esattamente. Tra l’altro i valori limite di esposizione di questi metalli si basano sui componenti individuali di una esposizione multipla. Si può quindi essere al di sotto di un certo livello protettivo di esposizione per un singolo componente, ma anche a quel livello ‘basso’ quel componente può produrre effetti nocivi se in compresenza ed in interazione con altro componente.
Traduco. Le emissioni di piombo e arsenico possono essere entro i limiti consentiti dalla legge, ma se sono presenti entrambi insieme fanno male comunque, anzi di più.
Si. Entrambi possono essere a livello ‘basso’ di esposizione ma la loro interazione sinergica può provocare effetti.
Insomma professore, non è propriamente un aggiornamento migliorativo della situazione sanitaria a Taranto.
Già! Si può essere al di sotto di un certo livello protettivo di esposizione per un singolo componente, ma anche a quel livello ‘basso’ quella sostanza può produrre effetti nocivi se è in compresenza ed in interazione con un altra.
La ricerca pubblicata su Scientific Reports di Nature il 10 maggio 2021 è un aggiornamento di analisi che lei conduce su Taranto dal 2012.
Esatto. Nel 2012 siamo partiti concentrandoci in particolare sugli effetti dell’esposizione ai metalli con proprietà neurotossiche sui bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni.
Avete diviso i bimbi in tre fasce: quelli che vivono a ridosso dell’Iilva, quelli ad una distanza media e infine quelli più lontani. In ciascun gruppo rientravano 4 scuole. Cosa è emerso?
Una differenza di 13 punti tra il quoziente d’intelligenza dei bimbi più vicini al siderurgico rispetto a quelli più lontani. Non solo, chi vive più a ridosso della fabbrica aveva una concentrazione di cadmio e arsenico nelle urine e di manganese nei capelli superiore a chi risiede lontano. La differenza di 13 punti di QI va intesa come ‘normalizzata’ per livello socioeconomico e intellettivo della madre, cioè a parità di questi fattori fra una zona e l’altra. Quindi dovuta solo al fatto di essere a breve distanza dalla emissione.
Quindi per dirla brutalmente, un bambino del quartiere Tamburi ha un quoziente intellettivo più basso di circa 13 punti rispetto a un coetaneo di Talsano (località distante dallo stabilimento siderurgico). Parliamo di bambini sani, non ammalati che però sulla base di test neuropsicologici per calcolare memoria, attenzione, ragionamento e concentrazione, mostrarono molte differenze.
Sì.
I risultati di questo primo studio iniziato nel 2012 però sono arrivati nel 2016. Poi nel 2019 siete tornati ad approfondire l’impatto neurocognitivo dovuto all’esposizione ai metalli sempre nei bambini tra 6 e 12 anni. Le scuole, 12 in totale, sono sempre le stesse. E cosa è emerso a distanza di sette anni dalla prima ricerca?
Se nel primo studio ci eravamo focalizzati sulle funzioni neuropsicologiche, quindi quoziente intellettivo, ma anche tendenza all’autismo, deficit di attenzione e altre forme di patologie infantili, successivamente abbiamo sviluppato meglio l’interazione tra fattori ambientali e socioeconomici, dimostrando che questi due, insieme, peggiorano ulteriormente le funzioni neurologiche.
Cioè in pratica se sei povero e contemporaneamente vivi in un quartiere inquinato, come Tamburi, sei ancora più esposto ad effetti nocivi delle emissioni.
Sì. Se nella prima ricerca era stata registrata una diminuzione di 13 punti del quoziente intellettivo nelle aree di Tamburi, rispetto a Talsano, nell’aggiornamento del 2019, la diminuzione cresce fino a 16 punti, questo perché nel corso degli anni si sono raffinati gli strumenti di analisi. Quindi questo studio evidenzia come le aree svantaggiate siano ad aumentato rischio di problemi neurocomportamentali oltre al rischio di minori capacità neurocognitive.
Nella ricerca voi scrivete: “L’area di studio è la città di Taranto, nel sud Italia, dove opera da molti decenni un vasto polo industriale che comprende uno dei più grandi produttori di acciaio in Europa, causando l’emissione di elementi tossici e molti altri composti chimici in un’ampia area circostante”. Però poi parlate sempre genericamente di “fonte di emissione”.
Abbiamo sempre suggerito la necessità di approfondire. Dovremmo essere il triplo e avere il triplo dei fondi. Non riusciamo a far tutto.
L’inquinamento da metalli riscontrato nel sangue dei bambini a quando risale?
Quello che gli indicatori di sangue mostrano è un dato relativo, perché riflette il livello di inquinamento attuale. Quando questi bambini sono nati è probabile è che i livelli di esposizione fossero più alti. Non sappiamo quale fosse l’inquinamento, ad esempio, quando si trovavano nella vita fetale, che rappresenta uno dei momenti di maggiore vulnerabilità. Anche per questo nel corso del tempo abbiamo iniziato a raccogliere i denti da latte e speriamo al più presto di poter fare uno studio specifico. I denti sono come gli alberi. Se fai una sezione laser trovi i cerchi concentrici. Andando a fare una microsezione dei denti da latte possiamo individuare i livelli di esposizione del passato. Il dente da latte inizia a crescere nelle prime settimane di vita intrauterina. È l’unico campione biologico che ci consente di andare indietro nel tempo.
La speranza è siano studi e ricerche utili a chi deve prendere decisioni e che non vengano invece ignorati e chiusi in un cassetto. Nella pubblicazione di Nature edizione 2021 i ricercatori valutano l’effetto neurocomportamentale dell’esposizione a oligoelementi tra cui piombo, mercurio, cadmio, manganese, arsenico e selenio e le loro interazioni. Il campione scelto è composto da 299 scolari residenti nell’area fortemente inquinata di Taranto. Le analisi sono state condotte su sangue intero, urina e capelli. Dei 6 metalli considerati, piombo e arsenico sono quelli che hanno dato spunti di riflessione più importanti. Il piombo nel sangue ha influenzato principalmente i problemi sociali, il comportamento aggressivo, l’esternalizzazione e i problemi comportamentali totali. L’arsenico nelle urine ha mostrato un impatto su ansia e depressione, problemi somatici, problemi di attenzione e comportamenti di violazione delle regole oltre a un’associazione significativa a diversi tratti psicologici riconducibili all’autismo. Si tratta di indicazioni precoci che non costituiscono la malattia ma sono importanti per fare prevenzione in fase precoce ed evitare la patologia. L’esatto meccanismo neurotossicologico attraverso il quale una miscela di metalli può portare a problemi comportamentali non è ancora chiaro e sono necessarie ulteriori indagini e prove su come le miscele di metalli e le interazioni tra le sostanze chimiche possono influenzare comportamento. Aumentata iperattività e tratti psicopatologici, compromissione del comportamento sociale e maggior rischio di autismo sono stati rilevati nei quartieri di Tamburi e Paolo VI, che si trovano a distanza ravvicinata rispetto alla fonte emissiva industriale.