Lo scandalo del “deluchismo”, il sistema di potere del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, non attiene solo, naturalmente, al carattere dispotico dell’esercizio di quell’ufficio pubblico. Lo scandalo vero, secondo me, è il silenzio – ora compiaciuto ora timorato – della opinione pubblica, il carattere inoppugnabilmente servile della élite, sia regionale che nazionale, che osserva e magari mugugna senza alzare un dito. Classe dirigente? Ma dove? Ma chi? La Confindustria tiene agli affari, la politica tiene al potere, i professionisti tengono agli incarichi. Il sistema dei media, nella prevalenza dei casi, racconta, con assuefatta e a volte compiaciuta approssimazione, le gesta di quest’uomo che solo Crozza descrive al meglio.
L’espulsione di Roberto Saviano dal palco della Fondazione Ravello, e le conseguenti obbligate dimissioni di Antonio Scurati, il presidente della Fondazione che l’aveva invitato, non destano stupore. Tutto normale. Si accetta tutto perché De Luca è legittimato dai voti e dunque può usare e abusare del suo ufficio. Un po’ quello che successe quando il Parlamento italiano decretò Ruby nipote di Mubarak in ossequio al regno berlusconiano.
Il potere legittima e assolve da qualunque abuso. Infatti il Pd, che il governatore sputacchia un giorno sì e l’altro pure, ospita e fa eleggere deputato – in ragione dei voti che porta alla casa madre svillaneggiata – suo figlio Piero.
La società (incivile) napoletana, che ha assistito al default del suo municipio (tre miliardi e mezzo di euro di debiti) senza battere ciglio prima e oltre De Luca, alle connessioni e collusioni ultradecennali della politica con l’economia anche criminale, alla spoliazione sistemica delle risorse pubbliche, dovrebbe adesso inquietarsi per l’espulsione dal palco di una manifestazione che si regge sui quattrini di tutti di un giornalista imputato di avere un cattivo giudizio del conducator?