A pochi giorni di distanza dalla brutale aggressione al picchetto dei dipendenti Fedex, un nuovo e ancor più grave episodio turba la società italiana. Il giovane sindacalista di origine marocchina Adil Belakhdim è stato travolto e ucciso da un camion nel corso di una manifestazione per la tutela dei diritti dei lavoratori. Si scatenerà ora inevitabilmente la consueta ridda di ipotesi e probabilmente ci sarà di nuovo chi parlerà, più o meno a sproposito, di “guerra tra poveri”. Ma la verità di fondo è un’altra e la conosciamo bene.
Tutti questi episodi, chiunque sia l’esecutore, rappresentano in modo evidente il risultato dell’egoismo di classe del padronato, che non è disposto a mollare neanche un centesimo dei lauti profitti che sta mietendo in un settore in rapido sviluppo e molto propizio agli investimenti, specie in un momento come questo, come quello della logistica, cui appartenevano le vittime di tutte le recenti feroci aggressioni, le due citate ed altre ancora. Il giochino che praticano ormai da decenni i padroni, in questo come in altri settori, lo conosciamo molto bene.
Le aziende vengono frammentate e i lavoratori divisi e sminuzzati e, dopo essere stati sfruttati selvaggiamente per un periodo, vengono licenziati e sostituiti con altri. Oltre a consentire i licenziamenti e a impedire l’autorganizzazione operaia, il giochino serve a eludere molte altre normative, da quelle fiscali a quelle ambientali ad altre ancora. In questo senso vanno anche le richieste di maggiore flessibilità del Codice degli appalti, in buona parte soddisfatte senza battere ciglio dal governo Draghi.
Si tratta com’è evidente di un giochino in evidente contraddizione anche colla legalità formale. Ma soprattutto lo è coi fondamenti stessi della nostra Costituzione, a norma del cui articolo 1: “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Questa base sta venendo clamorosamente meno e lo vediamo dal moltiplicarsi delle infami aggressioni ai lavoratori in lotta, da quello degli incidenti, spesso mortali, sul lavoro, dalla costante riduzione della percentuale di reddito nazionale riservata a chi lavora, dall’aumento dei licenziamenti e da quello impressionante della povertà in genere.
Ma se crollano le fondamenta crolla tutto l’edificio, ed è oggi la democrazia ad essere a rischio nel nostro Paese.
Di ciò sembrerebbe non rendersi conto per nulla la stolida e vergognosa classe politica che ci meritiamo, dal Pd a Fratelli d’Italia, che alle problematiche e necessità della classe operaia non dedica da tempo la benché minima attenzione. Ma una classe politica che riserva tutte le sue cure alla finanza parassitaria e non degna di uno sguardo chi lavora apre la strada alla rovina del Paese stesso e di tutti coloro che ne fanno parte, quale che ne sia il ruolo e l’appartenenza sociale.
Per questo è necessario e urgente che le organizzazioni sindacali, ispirandosi all’esempio storico impareggiabile di Di Vittorio, fondatore della Cgil, e a quello più recente di sindacati combattivi come Usb e SiCobas, tornino a difendere senza esitazioni e senza cedimenti gli interessi immediati e storici di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori. Come ha scritto in un suo recente comunicato il Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia, è necessario “che tutte le organizzazioni sindacali convochino uno sciopero generale per riaffermare il diritto di sciopero e il diritto all’agibilità sindacale su tutti i posti di lavoro, a cominciare dalle piattaforme logistiche. A tutti, parlamentari, membri del governo e rappresentanti istituzionali in genere ricordiamo quello che molti di loro sembrano aver dimenticato o ignorano da sempre, e cioè che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Se il lavoro, come avviene da troppo tempo in Italia, è misconosciuto e umiliato è tutta la Repubblica ad essere in pericolo. Se i lavoratori vengono costretti a lavorare in condizioni indegne, pericolose e precarie è tutta la Repubblica ad essere in pericolo. Se quando scendono in lotta vengono picchiati, feriti ed uccisi, è tutta la Repubblica ad essere in pericolo. E le politiche neoliberiste e di smantellamento dei diritti dei lavoratori di cui oggi il governo Draghi si rende protagonista fanno parte integrante dell’attacco alla Costituzione repubblicana”.
Guai se questo governo continuasse in effetti a cedere alle pressanti richieste della Confindustria, a partire da quella della fine del blocco dei licenziamenti, senza dare il minimo ascolto a chi da sempre, ma ancora di più a partire dall’inizio della pandemia, porta sulle sue spalle tutto il peso della società italiana per riceverne in cambio solo disprezzo, bastonate e morte.