Società

Vaccini, partecipare agli open day non è solo una scelta personale: conta pure la pressione sociale

Si discute se sia stata opportuna o meno l’apertura degli open day ai giovani e sui rischi che comporta per un ragazzo o una ragazza vaccinarsi con un vaccino piuttosto che un altro, con la necessità di valutare di volta in volta quanto i rischi superino i benefici o viceversa.

Alcuni ritengono che vaccinarsi sia una scelta che si fa, un rischio che un ragazzo si assume, che nessuno costringe un diciottenne a vaccinarsi. Opinioni emerse soprattutto parlando dalla triste vicenda di Camilla, la ragazza ligure felice di aver fatto il vaccino anticipatamente durante un open day, con il famigerato AstraZeneca. Anticipare il vaccino per anticipare la ripresa delle abitudini interrotte con la pandemia e il lockdown,

Nessuno obbliga un ragazzo, ma in effetti sì. Concretamente non c’è nessuno che li prende di peso e li porta a vaccinarsi, certo, ma la prospettiva di un ritorno alla vita normale e le pressioni psicologiche hanno lo stesso effetto, se non maggiore. Perché i ragazzi non si vaccinano per paura del Covid, o per lo meno non principalmente per quello. Li muove di più il bisogno di libertà, l’idea di rimettersi in movimento e di riprendere a esplorare. Una delle preoccupazioni più forti in adolescenza riguarda proprio l’indipendenza e ogni opportunità di perseguirla viene selezionata istintivamente.

Li muove di più anche il bisogno di sostegno all’identità personale che si va consolidando, e perciò la necessità di ritrovarsi, di recuperare le relazioni – di amicizia, di coppia, di gruppo – relazioni sospese o distanziate da troppo tempo, il poter di nuovo trasgredire o debuttare in qualcosa. Li spinge di più il bisogno di alleggerirsi dai sensi di colpa di cui li abbiamo caricati facendo pressione sulla responsabilità che avrebbero sui genitori o sui nonni o su altri cari in caso di contagio. Ho letto di serate organizzate per motivare/convincere i più restii, con musica suonata dai dj più apprezzati.

Una pressione che si somma al senso di colpa per il desiderio di allontanarsi e la paura di non ritrovare nessuno al ritorno, ancora una volta l’autonomia, con tutte le contraddizioni che l’accompagnano. Perché da una parte reclamano autonomia e individualità e dall’altra restano ancora profondamente dipendenti.

Fare leva sui bisogni per indirizzare il comportamento dei più giovani e poi liquidare il problema come se fosse una scelta libera, di cui si devono assumere le responsabilità e i rischi, è psicologicamente e moralmente disonesto.