Confindustria prende la ramazza e fa le pulizie di primavera nei suoi conti. E dopo anni si è decisa a rettificare nel suo bilancio il valore della sua unica partecipata industriale, Il Sole24Ore. In un colpo solo la testata di cui l’associazione degli imprenditori possiede il 61,5% è stata svalutata di ben 71 milioni di euro. Nel bilancio di Confindustria di fine 2020 approvato nell’assemblea tenuta il 19 maggio scorso, Il Sole24ore è iscritto a un valore di 18,4 milioni di euro. Che non è altro che il valore di Borsa del giornale quotato a Piazza Affari a fine dicembre scorso.
È la prima volta che Confindustria sceglie la via del mercato (quella più attendibile) per dare un prezzo al suo giornale. Finora, pur con le quotazioni in stallo a prezzi molto bassi rispetto alla quotazione originaria, Confindustria si ostinava a calcolare il valore del suo giornale sul costo storico e sulla quota di patrimonio di sua competenza. Infatti fino al bilancio del 2019 l’associazione imprenditoriali assegnava al Sole un valore di 89,9 milioni del tutto irrealistico rispetto al valore di Borsa del giornale.
Con la presidenza Bonomi si è deciso di passare a valutazioni di mercato e pure retroattive sul bilancio 2019. Risultato? Il Sole è passato da 89,9 milioni di euro a soli 18,4 milioni. Per anni, man mano che il valore tracollava in Borsa, gli ex presidenti Boccia, Squinzi e Marcegaglia hanno fatto finta di ignorare che il costo storico non equivale più ai prezzi di mercato. Era un modo per non deteriorare il patrimonio netto di Confindustria che si aggirava sui 200 milioni e che ora con la svalutazione del Sole, ma anche con quella del palazzo di Viale dell’Astronomia, vale poco più di 110 milioni.
Del resto il crollo del Sole sia in termini di fondamentali economici che di prezzo di mercato è sotto gli occhi di tutti da anni. Fu quotato a fine del 2007 a un prezzo di 5,75 euro, oggi vale solo 52 centesimi. E mentre nell’anno della quotazione, pre-crisi finanziaria, faceva ricavi per oltre mezzo miliardo ora si ferma sotto i 200 milioni di fatturato annuo. Cumulando nel frattempo, nel decennio tragico dell’editoria italiana, perdite per oltre 330 milioni di euro.
Ancora oggi non riesce a fare utili. Il bilancio del 2020 si è chiuso infatti con una perdita piccola, ma pur sempre una perdita per 1 milione di euro. In mezzo non solo una grave crisi di vendite, ma anche lo scandalo delle copie fasulle per occultarne il crollo. Con poco meno di 20 milioni oggi ci si compra la quota di controllo del Sole24Ore.
Difficile però che qualcuno si possa fare avanti. Per Confindustria, che nel frattempo, lo scorso anno ha pure svalutato per 24 milioni il suo palazzo storico di Viale dell’Astronomia, il giornale salmonato è asset troppo prezioso a fini di consenso politico e di pressione lobbistica per farne a meno. Consenso e pressione certo sempre meno incisive nel tempo. Per preservarne il controllo comunque, Il Sole è l’unica società quotata in Italia che ha messo sul mercato solo le azioni speciali, mentre le ordinarie restano chiuse a chiave nei cassetti di Viale dell’Astronomia. Una governance barocca.
E che Confindustria sia in crisi di identità da tempo, lo mostrano i dati associativi. Ormai le aziende iscritte non crescono più, almeno a partire dal 2011. Gli iscritti all’associazione sono fermi a quota 150mila, lo stesso livello ormai da anni. E c’è anche un problema sui contributi versati dagli associati (sempre più colossi pubblici). Nel 2020 Confindustria ha incassato quote dai soci per 38 milioni di euro contro i 51 milioni pre crisi finanziaria. Crisi di consenso e crisi di rappresentanza, certo aggravata dalla crisi economica post 2008 e ora dal Covid. In questo contesto Il Sole, pur a prezzo di sconto, è troppo prezioso per lasciarselo sfilare di mano.