L’edizione 2021 di Lovers Film Festival, la storica rassegna cinematografica Lgbt a Torino, ha dimostrato ancora una volta la vitalità e l’attualità dell’iniziativa.
I limiti posti dalle precauzioni anti Covid – come già nell’edizione 2020 che ci aveva accompagnato nella chiusura delle sale per il lockdown – hanno reso il tutto più serio, con una programmazione che ha puntato sui contenuti, e soprattutto sui temi dell’omotransfobia e dell’accettazione sociale degli orientamenti e delle identità. Il lungometraggio che ha vinto, Swan Song (Il canto del cigno) di Todd Stephens si apre con un vecchio gay in un ospizio, abbandonato da tutti. Ma la storia diventa poi quella del suo ritorno nella cittadina in cui è stato un grande parrucchiere e della sua resa dei conti col passato, con gli anni ’90 dell’Aids, ma anche della socialità dei locali gay che ora chiudono.
Ecco la motivazione della giuria: “Nel film l’attore di culto Udo Kier, 76 anni, porta quello che potrebbe essere un vero e proprio canto del cigno sullo schermo grazie ad una performance spettacolare che regge tutto il film. Il regista Todd Stephens affronta il tema sociale estremamente attuale della solitudine ma soprattutto il tema della memoria. Udo Kier interpreta Pat Pitsenberg, un anziano parrucchiere gay della provincia americana che rappresenta e ricorda la vita e le condizioni sociali delle persone LGBT dagli anni ’60 agli anni ’90. Il film ci ricorda il coraggio delle persone LGBT in anni in cui erano costrette a prendere in mano il proprio destino ed imporre la propria identità senza attendere permessi o riconoscimenti. Il film sottolinea la normalizzazione del mondo LGBT negli Stati Uniti contrapponendo il presente ad anni del XX secolo in cui essere gay comportava inevitabili compromessi ma anche uno stile di vita contro-culturale e libertino“.
Tra gli altri premiati ha colpito molto La Nave dell’Olvido, film cileno che racconta il coming out lesbico di una nonna del Sud cileno, che dopo aver perso il marito si innamora della vicina di casa, osteggiata dalla figlia perbenista, ma con la complicità del nipotino. Un contesto provinciale omofobo che la protagonista impara a fronteggiare.
Il momento di “acme politico” del Festival è stato l’incontro con Alessandro Zan e con la vicepresidente del Senato Anna Rossomando che hanno dialogato con Vladimir Luxuria, Costantino della Gherardesca e Alessandro Battaglia. I parlamentari hanno avvertito che sarà un duro confronto quello al Senato, e che bisogna ancora convincere se si vuole vincere. Convincere che non si può togliere l’identità di genere dalla legge Zan, che si tratta di una battaglia contro la discriminazione e non per la “libertà di cambiare sesso ogni settimana”.
Subito dopo ho visto uno dei molti docufilm o corti presentati in questa edizione di Lovers aventi come oggetto la transessualità o l’identità sessuale. E se nel corto girato in Macedonia, Serpente (Snake) c’è un padre che picchia il figlio di 9 anni perché gioca a travestirsi, nella storia vera Petite Fille (del regista Sébastien Lifshitz) c’è una famiglia francese di provincia che si batte unita per Sasha, che fin dall’età di 4 anni ha le idee chiarissime: nel corpo di un bambino nato maschio si sente femmina. Nonostante l’appoggio della famiglia è una vicenda difficile e dolorosa, un documento straordinario della “disforia di genere” e della questione di diritti che apre.
Altro che “stravaganze gender”, come dicono per giustificarsi i transfobici. Il ddl Zan non cambia le condizioni per cambiare sesso in Italia, ma non c’è dubbio che l’esigenza di andare verso la autodeterminazione – anche per i minori – esiste e che sarà un tema dei prossimi anni.