Parla il nuovo presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e i timori del blocco Europa-Usa che hanno preceduto le elezioni nel Paese si materializzano. Nessuna volontà di incontrare l’omologo americano, Joe Biden, per ricucire lo strappo voluto dal predecessore alla Casa Bianca, Donald Trump, e nessuna intenzione di spingere per nuovi negoziati sul nucleare e sui missili balistici sono i messaggi lanciati dal nuovo capo dell’esecutivo della Repubblica Islamica. E dall’Ue trapela preoccupazione: “Spero che non colpisca i negoziati sull’accordo sul nucleare in corso a Vienna, questa è la questione più importante”, ha commentato l’Alto rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell.
“Non avremo colloqui sul nucleare solo per il gusto di negoziare”
Nel corso della prima conferenza stampa da presidente, Raisi, ha fatto sapere che al momento non c’è alcuna intenzione di incontrare Biden e ha voluto anche lanciare un messaggio fuori dai confini dell’Iran, a quelle potenze coinvolte nell’accordo Jcpoa e che, nel post-Trump, speravano di poter riavviare i colloqui con Teheran. Raisi ha dichiarato che non autorizzerà negoziati sul nucleare semplicemente “per il gusto di negoziare”: “Ogni negoziato che garantisce gli interessi nazionali sarà certamente sostenuto”, ha comunque assicurato ricordando che gli Stati Uniti “hanno violato” l’accordo del 2015, mentre “gli europei non hanno rispettato gli impegni”. Gli Stati Uniti e gli europei “dovrebbero rispettare i propri impegni sulla base” dell’accordo, ha aggiunto. “È questo quello che chiede l’Iran” che nel frattempo ha avviato nuovamente l’arricchimento delle proprie risorse di uranio, ormai ben al di sopra dei limiti stabiliti dall’accordo voluto da Barack Obama.
E proprio agli Usa si è rivolto direttamente il nuovo presidente: “Il mio messaggio agli Usa è questo. Tornate immediatamente all’accordo sul nucleare. Questa è la linea del governo attuale (del presidente Hassan Rohani, ndr) e del prossimo, vanno tolte tutte le sanzioni e ci devono essere verifiche su questo processo”.
Raisi ha inoltre aggiunto che il suo governo non intende negoziare sul suo programma di sviluppo di missili balistici e che la “politica estera” di Teheran “non sarà limitata all’accordo” sul nucleare: “Il mondo – ha affermato – deve sapere che la politica estera del nostro governo non partirà dal Jcpoa perché non sarà limitata al Jcpoa”. Raisi ha però lanciato anche messaggi rassicuranti parlando di “interazione con tutti i Paesi del mondo”, di “un’interazione equilibrata”, e ha assicurato sostegno “per ogni negoziato che tuteli gli interessi nazionali”. “La situazione economica e le condizioni di vita delle persone non saranno legate a questi negoziati, il mondo deve sapere che la situazione è cambiata“. Resta il fatto che le pesanti sanzioni che hanno nuovamente colpito la Repubblica Islamica nel periodo dopo l’uscita degli Usa dall’accordo sono coincise con una delle crisi economiche più dure nella storia post-rivoluzionaria. Crisi acuita dalla pandemia di coronavirus e che non potrà essere ignorata dal nuovo esecutivo.
Un cambiamento che da Washington e Bruxelles non era però auspicato, come testimoniano le parole di Borrell appena arrivato al consiglio Esteri in Lussemburgo. Le trattative “al tavolo sono difficili ma proseguono e ci aspettiamo che il cambio di leadership non colpisca le possibilità di raggiungere un accordo”, ha comunque dichiarato. Alla freddezza di Ue e Usa si contrappone il messaggio di congratulazioni arrivato da Pechino, con il presidente cinese Xi Jinping che ha definito i due Paesi “partner strategici globali” e attribuito “grande importanza allo sviluppo delle relazioni Cina-Iran“. La Cina, tra i principali partner commerciali della Repubblica islamica, è comunque una delle potenze mondiali coinvolte nei negoziati in corso per rilanciare l’accordo sul programma nucleare iraniano e buoni rapporti Pechino-Teheran potrebbero anche facilitare nuovi negoziati.
Il passato da ‘boia’ khomeinista di Raisi: “Io da sempre attento ai diritti umani”
C’è poi il passato a pesare sulla nuova presidenza iraniana. Ebrahim Raisi, infatti, non è solo l’ex presidente della Corte Suprema ed ex Procuratore generale, ma anche e soprattutto l’uomo dietro alle purghe del 1988 ordinate dall’allora Guida Suprema, Ruhollah Khomeini, che portarono all’uccisione di migliaia (le stime oscillano tra gli 8mila e i 30mila) di prigionieri politici considerati nemici della Rivoluzione del 1979. Raisi, in conferenza stampa, ha affermato di aver “sempre” difeso i diritti umani e di essere stato eletto con una partecipazione “di massa”: “Sono orgoglioso del fatto che da procuratore ho difeso i diritti, la sicurezza e il benessere della Nazione – ha dichiarato – Un procuratore o un giudice che protegge i diritti e la sicurezza della nazione deve essere elogiato perché ha protetto la sicurezza del Paese”.