“Ma cosa aspettano a farli uscire, che muoiano e ce li consegnino cadaveri?”. Sono le parole, preoccupate, della moglie di Fadhel Abbas al-Jazeeri, uno dei tanti detenuti contagiati dal Covid-19 nella famigerata prigione bahreinita di Jaw. Fadhel Abbas si è ristabilito ma cadavere, il 9 giugno, è uscito invece Husain Barakat.

Barakat stava scontando una condanna all’ergastolo, emessa il 15 maggio 2018 in un “maxi-processo” per terrorismo segnato da numerose irregolarità. Trascorreva le giornate insieme ad altri 15 detenuti in una cella dotata solo di 10 brande. A maggio aveva ricevuto entrambe le dosi di un vaccino cinese, ma alla fine del mese in una video-chiamata alla moglie aveva detto: “Sono stanco, non riesco a respirare, non riesco neanche a stare in piedi, sto per morire”.

Sulla diffusione della pandemia nella prigione di Jaw ne avevo scritto due mesi fa. Da allora, la situazione è peggiorata: dagli oltre 70 casi di aprile si è passati al doppio, secondo l’ong Salam for Democracy and Human Rights.

La reazione delle autorità del Bahrein invece non è cambiata: negare, minimizzare quando il diniego totale non è possibile, dichiarare che i detenuti sono stati vaccinati: un’affermazione questa, vera a metà, dato che molti prigionieri hanno finora rifiutato di farsi inoculare un vaccino di cui non sanno nulla (e che, nel caso di Barakat, ha dimostrato la sua inefficacia). L’unica volta in cui i detenuti hanno ricevuto una mascherina è quando una troupe della tv di Stato è entrata a fare delle riprese all’interno del carcere: finite le riprese, le mascherine sono state ritirate.

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