Dall’analisi delle pratiche per la mitigazione dei cambiamenti climatici finanziate con 100 miliardi a valere sulla Pac emerge un fallimento. Gli aiuti diretti non incentivano gli agricoltori ad adottare pratiche efficaci rispettose dell’ambiente, mentre la maggior parte delle misure finanziate “ha limitate potenzialità ai fini della mitigazione dei cambiamenti climatici”. Intanto la nuova tornata di negoziati sulla nuova Pac punta a superare lo stallo tra Europarlamento e Consiglio Ue
La doccia fredda a pochi giorni dal nuovo trilogo sulla Politica agricola comune convocato a Bruxelles per il 28 e 29 giugno, dopo la fumata bianca di fine maggio. Secondo una relazione speciale della Corte dei conti europea pubblicata oggi, i circa 100 miliardi di euro di fondi (oltre un quarto della Politica agricola comune 2014-2020) destinati all’azione per il clima non hanno avuto impatti sulle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’agricoltura, che non diminuiscono dal 2010 mentre nel decennio precedente erano calate in maniera progressiva. Un fallimento è quello che emerge dall’analisi delle pratiche per la mitigazione dei cambiamenti climatici sostenute dalla Pac. Secondo la Corte gli aiuti diretti non incentivano gli agricoltori ad adottare pratiche efficaci rispettose dell’ambiente, mentre la maggior parte delle misure finanziate “ha limitate potenzialità ai fini della mitigazione dei cambiamenti climatici”. E il risultato di questa analisi non poteva arrivare in un momento più delicato e, anzi, appare come un monito. La nuova tornata di negoziati punta a superare lo stallo tra Europarlamento e Consiglio Ue, prima che la presidenza portoghese passi la mano, dal primo luglio, a quella slovena per arrivare alla riforma che entrerà in vigore a partire dal 1 gennaio 2023, con una dotazione di fondi di circa 387 miliardi, poco meno di 50 dei quali destinati all’agricoltura italiana. E che sia un monito lo dice anche Viorel Ștefan, membro della Corte dei Conti Ue, nonché responsabile della relazione, secondo cui “la nuova politica agricola comune deve concentrarsi di più sulla riduzione delle emissioni prodotte dall’agricoltura, essere più trasparente e rendere meglio conto del contributo fornito alla mitigazione dei cambiamenti climatici”.
LE EMISSIONI DOVUTE ALLA ZOOTECNIA – L’audit aveva l’obiettivo di evidenziare eventuali riduzioni di emissioni di gas a effetto serra prodotte da zootecnia, fertilizzanti chimici e letame e uso dei terreni (terre coltivate e pascoli), ma anche di confrontare le modalità con cui, rispetto al decennio precedente, la Pac avesse incentivato l’adozione di efficaci pratiche di mitigazione. Le emissioni prodotte dall’allevamento del bestiame rappresentano circa metà delle emissioni in agricoltura e, secondo i dati raccolti, è dal 2010 che non diminuiscono. I bovini ne causano due terzi e sono direttamente collegate alle dimensioni delle mandrie. “La quota di emissioni riconducibile alla zootecnia – si spiega in una nota – aumenta ulteriormente se si tiene conto di quelle connesse alla produzione di mangimi animali (compresi quelli importati)”. E a riguardo, la Pac non cerca di limitare il numero di capi di bestiame, né fornisce incentivi per una loro riduzione. Le misure di mercato della Pac, inoltre, includono la promozione dei prodotti di origine animale, il cui consumo non diminuisce dal 2014. In pratica, sottolinea la Corte dei Conti Ue, in questo modo si contribuisce a mantenere alto il livello delle emissioni di gas a effetto serra invece che a ridurle. E quello dei capi di bestiame è certo un punto importante, già al centro di diverse discussioni nel lungo percorso che ha portato la nuova Pac alle sue battute finali, con i più critici che vedono, nella nuova versione, un riproporsi dello stesso modello che, tra l’altro, sembra incentivare gli allevamenti intensivi.
AUMENTATE LE EMISSIONI DOVUTE A FERTILIZZANTI E LETAME – Le emissioni dovute ai fertilizzanti chimici e al letame, che rappresentano invece quasi un terzo delle emissioni prodotte dall’agricoltura, sono addirittura aumentate tra il 2010 e il 2018. Eppure la Pac ha sostenuto pratiche che avrebbero dovuto ridurre l’uso di fertilizzanti, come l’agricoltura biologica e la coltivazione di legumi da granella. Secondo l’analisi della Corte dei Conti Ue tali pratiche non hanno un effetto certo sulle emissioni di gas a effetto serra (e questo è un altro argomento molto discusso), mentre “pratiche di provata efficacia, come i metodi dell’agricoltura di precisione” che regolano l’applicazione di fertilizzanti in base alle necessità delle colture, secondo i giudici contabili ricevono invece meno finanziamenti.
LE PRATICHE NON RISPETTOSE E QUELLE NON SOSTENUTE – L’analisi punta il dito anche contro le pratiche non rispettose dell’ambiente sovvenzionate in questi anni: si finanziano, ad esempio, gli agricoltori che coltivano le torbiere drenate, che rappresentano meno del 2% delle superfici agricole dell’Ue ma rilasciano il 20% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Ue prodotte dall’agricoltura. “I fondi per lo sviluppo rurale – sottolineano i giudici – avrebbero potuto essere utilizzati per il ripristino di queste torbiere, ma ciò è avvenuto di rado”. Secondo la Corte dei Conti Ue, poi “il sostegno a misure della Pac per il sequestro del carbonio, quali l’imboschimento, i sistemi agroforestali e la conversione di seminativi in prato, non è aumentato rispetto al periodo 2007-2013”, mentre la normativa dell’Ue attualmente non applica il principio ‘chi inquina paga’ alle emissioni di gas a effetto serra del settore agricolo. Infine, la Corte ha rilevato che le norme di condizionalità e le misure di sviluppo rurale sono cambiate poco rispetto al periodo precedente, nonostante le maggiori ambizioni dell’Ue in materia di clima. E dire che a bloccare la trattativa della Pac 2023-27 è proprio l’insieme delle misure verdi, in particolare la percentuale di aiuti diretti (uno dei due pilastri su cui si basa la Pac) da destinare a pratiche agricole ecologiche. L’Europarlamento chiede il 30%, equivalente a circa 58,5 miliardi, mentre il Consiglio è partito dal 20%, 39 miliardi, ed è disposto a salire al 25%, cioè poco meno di 49 miliardi, con alcune salvaguardie. Anche se finora non è stato trovato l’accordo.