La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo della legge sulla stampa "che fa scattare obbligatoriamente la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa". È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595 del Codice penale "che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni"
“Preso atto del mancato intervento del legislatore”, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) “che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa. È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità”. Lo comunica in una nota l’ufficio stampa della Consulta, illustrando la decisione dei giudici sulla questione di costituzionalità del carcere per i giornalisti sollevata dai tribunali di Bari e Salerno. “Resta peraltro attuale – conclude il comunicato – la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione”. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
La richiesta avanzata dall’Ordine dei giornalisti nel corso dell’udienza pubblica, svolta nel pomeriggio, era di dichiarare l’incostituzionalità di entrambe le norme. La questione era tornata alla Corte, scaduto inutilmente l’anno di tempo che i giudici costituzionali avevano dato al Parlamento per intervenire sulla materia, con un nuovo bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona. In questi dodici mesi, infatti, il legislatore non ha praticamente fatto nulla. Oggi l’Odg ha chiesto di cancellare del tutto dal nostro ordinamento la previsione del carcere per i giornalisti nei casi di diffamazione “perchè il lavoro della stampa non può essere pregiudicato dal pericolo di una sanzione che ne impedisca il libero esercizio“. E solo in subordine dichiarare incostituzionale la cumulabilità tra pena detentiva e pecuniaria, con il carcere da applicare solo in casi espressamente indicati ove ricorra la grave lesione di altri diritti fondamentali. L’Ordine ha inoltre definito le attuali norme “una tagliola” per la libertà di stampa.
L’Avvocatura dello Stato si è invece dichiarata contraria all’accoglimento della questione di incostituzionalità, fondata dai giudici di Salerno e Bari sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che consente il carcere solo per condotte di eccezionale gravità, come i casi in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d’odio. Secondo quanto spiegato dall’avvocato dello Stato Maurizio Greco c’è già la possibilità di dare delle norme in vigore “un’interpretazione costituzionalmente orientata“. Sarebbe invece un errore “demolire un sistema che salvaguarda una posizione costituzionalmente garantita”, cioè l’onore del singolo o l’offesa arrecata alle autorità pubbliche. La Corte europea dei diritti dell’uomo, ha spiegato, non esclude sanzioni penali “in presenza di situazioni eccezionali. E solo il giudice può valutare caso per caso se sussiste l’eccezionalità”. Oltretutto la Corte di Cassazione ha “già preso spunto” dalla ordinanza con cui un anno fa la Consulta sospese il suo giudizio sulla diffamazione, come ha fatto notare l’altro avvocato dello Stato presente in udienza, Salvatore Faraci. E così ha “annullato una condanna a pena detentiva per diffamazione aggravata a mezzo Facebook, dando ai giudici di merito la possibilita di applicare la sanzione penale solo se il fatto sia di eccezionale gravità”.