“Saremo migliori”. “La pandemia è l’occasione per ripartire”. “Non saremo più gli stessi”. “Impareremo qualcosa”. “Il lavoro cambierà”. “Non sprecheremo questa crisi”. Potrei continuare con la lista degli impegni e degli annunci fatti ai tempi del lockdown da un’innumerevole schiera di persone: psicologi, giornalisti, intellettuali, insegnanti, presidi, rettori, politici e chi più ne ha più ne metta.

Temo che non sarà così. Il mondo della scuola, finita la pandemia, rischia di tornare al passato in fretta e furia facendo ben poco tesoro dell’esperienza del lavoro online.

Premessa: non credo che la lezione in presenza sia uguale a quella a distanza, anche se sono persuaso che un bravo maestro sappia farla bene sia in classe che online. Detto questo il sistema d’istruzione italiano, grazie al Covid, si è finalmente innovato. Dopo oltre 50 anni gli insegnanti hanno capito che le riunioni si possono fare a distanza con risultati più che positivi: meno chiacchiere, più efficienza, più ordine; maggior possibilità di essere multitasking; miglioramento dei tempi di conciliazione lavoro-famiglia, soprattutto in un contesto come quello della scuola dove la maggior parte dei docenti sono donne.

Il rischio che intravedo ora è che i passi avanti a settembre saranno cancellati in nome della tradizione, della ritualità, del fanatismo per il vedersi a quattr’occhi tanto per stare un po’ insieme. Il pericolo è che i collegi docenti tornino ad essere quelle afose assemblee in atrii troppo stretti, in scantinati trasformati in palestra, in oratori e teatri scomodi, dove il dirigente prova a dir qualcosa mentre la maggior parte chatta al marito, all’amante, alla moglie, alla fidanzata oppure chiacchiera con la vicina o il vicino dell’ultimo traguardo universitario raggiunto dal figlio. Il tutto con tanto di microfono gracchiante, pc che non funziona; figli da lasciare alla suocera; mariti impazienti a casa che spadellano; chilometri e chilometri da fare nella nebbia per quei poveri docenti precari che non sempre vivono dove c’è la scuola.

Il rischio è che dopo un anno che i genitori, finalmente, hanno fatto a meno di abbandonare l’ufficio o chiedere un permesso lavorativo per fare i colloqui con gli insegnanti si torni al passato.
Se ora bastava un click per vedere gli insegnanti, l’anno prossimo, a quanto pare, mamme e papà dovranno di nuovo, tra mille bestemmie, correre da una parte all’altra di Milano o della provincia per cinque minuti di incontro con i maestri o i professori.

E così sarà per le pagelle, perché agli insegnanti piace darle a mano, aver il gusto di consegnarla come faceva l’anziana maestra negli anni Settanta quando loro erano bambine. Persino l’Università rischia di fare passi indietro. In quest’anno gli studenti hanno risparmiato gli affitti degli appartamenti; chilometri di pendolarismo riuscendo a fare gli esami e le lezioni da casa. Ora a volere un ritorno in presenza sono i rettori.

Se si andrà in questa direzione avremo sprecato una grande opportunità. La pandemia sarà stata totalmente inutile. Il Paese non avrà speranza nemmeno ora. E i cialtroni continueranno ad averla vinta.

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