Anche questa volta Re Giorgio ha fatto una lectio magistralis di pertinenza e opportunità, dimostrando come si possa osare senza scadere nell’eccesso, perché “sull’uomo bisogna inventare ma non divertirsi, mi vergogno di far parte di questo gregge che trovo supponente. Senza voler fare polemiche. Io non sono come gli altri, sono io"
Solo Giorgio Armani poteva far sfilare in passerella un uomo in pantofole e bermuda ma chicchissimo, di un’eleganza estrema e calcolatissima. Lo stilista è tornato a sfilare in presenza, il 21 giugno, nel giardino di Palazzo Orsini, in via Borgonuovo, il luogo dove tutto è iniziato. E questa sfilata Uomo Primavera-Estate 2022 è al contempo un “ritorno alle origini” e innovazione pura. Solo “Re Giorgio” poteva creare capi così rivoluzionari ma naturalmente classici, perfettamente in linea con la sua poetica. “Torno alle origini – spiega Giorgio Armani – immaginando, ancora una volta e a distanza di anni, un modo di vestire legato al momento, come specchio dei tempi che stiamo vivendo. La mia ‘rivoluzione’ è iniziata in questo modo e va coerentemente nella stessa direzione”.
Questa collezione maschile è figlia dei tempi che abbiamo vissuto e che stiamo tutt’ora vivendo, ma anche proiettata in avanti, verso il futuro di libertà e spensieratezza che ci aspetta. Questi mesi di lockdown ci hanno lasciato in eredità la predilezione per la comodità e la rilassatezza tipiche dello sportsweare che ci ha vestito nei giorni dell’isolamento e Armani, che vi ha sempre avuto una certa affinità, ne ha carpito l’essenza e l’ha racchiusa in questi capi. Morbidezza, scioltezza, leggerezza, freschezza, disinvoltura, fluidità e personalità sono le parole chiave di creazioni pensate per un uomo che ha fatto tesoro anche di un’esperienza drammatica come la pandemia e ora riprende a vivere con consapevolezza e, soprattutto, appropriatezza. Perché, citando Calvino, “la leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto”. Così, anche il più formale dei completi maschili libera anziché costringere, le gambe si scoprono, i tessuti sono morbidi e scivolati, i colori – dal blu al sabbia passando per tocchi di verde e rosso fino ad arrivare a un bianco gesso purissimo – compongono una palette che si richiama alla natura, in una sublime armonia armaniana. Tutto ruota intorno a lei, la giacca, che quarant’anni dopo si evolve nuovamente, assumendo ora le coordinate di un giubbotto in denim, ora di un gilet. Di conseguenza, anche il classico completo maschile si rinnova nelle forme, perfettamente coordinato e bilanciato tra sopra e sotto, impreziosito dalla seta cangiante con cui sono intessute bluse vaporose, le camicie di domani. Le fantasie optical stilizzate danno movimento accompagnando fluidamente il corpo nelle sue movenze; le pinces donano grazia anche ai bermuda, da indossare volutamente con noncuranza; la lana gessata di certi abiti è, nella sua pacatezza, quanto di più raffinato e sartoriale ci sia.
Seppur con molte sfaccettature, c’è massima coerenza tra i capi, in un gioco di rimandi e sperimentazione che ci consegna la bellezza della classicità. L’impronta sportiva non ne sminuisce l’eleganza, anzi, paradossalmente la esalta. Anche questa volta, insomma, Giorgio Armani ha fatto una lectio magistralis di pertinenza e opportunità, dimostrando come si possa osare senza scadere nell’eccesso, perché “sull’uomo bisogna inventare ma non divertirsi, mi vergogno di far parte di questo gregge che trovo supponente. Senza voler fare polemiche. Io non sono come gli altri, sono io”.