A decidere come e dove verranno spesi i miliardi del Recovery plan valutando l’impatto dei vari investimenti, Mario Draghi ha messo anche Carlo Stagnaro, direttore della ricerca e tra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni. Dallo stesso istituto proviene Serena Sileoni che è già consulente economica del presidente del Consiglio. Sarebbe quindi opportuno sapere di più di questo Istituto, fondato nel 2003, piccola sede nella centralissima piazza Castello a Milano e uffici amministrativi in piazza Cavour a Torino. Soprattutto chi lo sostiene economicamente. Ma su questo si sa poco nulla. Alla richiesta de Ilfattoquotidiano.it di avere qualche informazione in più, l’Istituto non ha fornito alcuna risposta.

Dal sito si apprende solo che nel 2019 sono entrare nelle casse dell’ “Ibl” 910 mila euro, scesi a 575mila nell’atipico 2020. I soldi provenienti dal 5×1000, che si può donare alla Fondazione Istituto Bruno Leoni, ammontano a circa 45mila euro l’anno. Quanto al resto l’Istituto fa sapere solo che il 25% dei fondi proviene da donazioni individuali. Un altro 19% dal “settore finanza”, il 7% dal mondo assicurativo e una quota analoga da quello farmaceutico. L’Istituto dice di rifarsi alle esperienze dei think tank anglosassoni. Negli Stati Uniti però i finanziatori dei grandi “pensatoi”, come l’iper liberista Cato Institute o l‘Heritage Foundation sono noti. Si tratta, ad esempio, delle ricchissime famiglie ultra conservatrici Koch e Mellon, con interessi e partecipazioni tra l’altro nella finanza, nell’industria petrolifera, chimica e farmaceutica. Pure, oltre a finanziare studi, premi ed eventi, l’Ibl nel 2018 ha pagato una importante campagna pubblicitaria con maxi cartelloni in piazze e stazioni che mostravano una simulazione dell’andamento del debito pubblico in tempo reale. Sottointeso: tagliare la spesa pubblica.

Qualcosa di più sull’Ibl si può forse desumere dai nomi che siedono nelle sue stanze. Alla presidenza, sia dell’Istituto sia della Fondazione, c’è ad esempio Franco Debenedetti, fratello del più noto Carlo, e tra i direttori della holding di famiglia CIR che ha partecipazioni nella sanità (Kos) e nella componentistica auto (Sogefi). Nel “comitato di indirizzo” siede invece Fabio Cerchiai, uomo vicinissimo ai Benetton e tuttora presidente di Atlantia, la holding di cui la famiglia di Ponzano Veneto detiene il 30% e che ha appena venduto Autostrade a Cassa depositi e prestiti. Ci sono poi diversi nomi legati al mondo confindustriale, dall’ex direttore dell’ufficio studi Giampaolo Galli, all’ex vicepresidente Antonio Costato. Tra gli ex presidenti, ora in consiglio di amministrazione, si annovera l’ex PD Nicola Rossi, al momento impegnato in una battaglia anima e corpo per la flat tax.

Se i finanziamenti rimangono un mistero, è invece sotto la luce del sole quello che in questi anni l’Istituto Bruno Leoni propone e ha proposto. I modelli si riferimento sono Milton Friedman, Friedrich von Hayek, Ronald Reagan e Margaret Thatcher. E quindi: liberalizzazioni, privatizzazioni di tutto (dall’acqua potabile alla sanità e all’istruzione), oltre a deregolamentazioni di ogni tipo, anche in materia ambientali. Tra le battaglie degli ultimi tempi quella contro il reddito di cittadinanza.

L’Istituto ha una piccola casa editrice che pubblica volumi di autori ideologicamente affini. Tra i libri pubblicati nel 2018 c’è anche “In difesa dei combustibili fossili” scritto da Alex Epstein, studioso statunitense che fa riferimento al Cato Institute, centro studi attivissimo nel negazionismo climatico e propugnatore della soppressione di qualsiasi vincolo all’attività di impresa, limiti al lavoro minorile compresi. Lo stesso Carlo Stagnaro, che ora avrà voce anche sugli investimenti nella transizione verde si è sempre mostrato tiepido in materia di vincoli ambientali alle imprese. Il nuovo consulente del governo, di recente, si è anche categoricamente espresso contro la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini anti Covid, portavoce di una linea che all’Ibl è peraltro ben chiara.

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