Alcuni collaboratori di giustizia lo hanno indicato negli anni come trait d’union tra Cosa nostra, gli uomini dei servizi d’intelligence e la massoneria. Per la procura di Palermo a un certo punto era in contatto direttamente con il superboss Nitto Santapaola. Per la corte d’Appello di Messina, invece, era solo un mafioso come tanti altri e soltanto fino al 2000. Ma potrebbe non essere neanche questo: Rosario Pio Cattafi, infatti, potrebbe presto incassare una prescrizione che cancellerebbe totalmente la traccia di mafiosità dal suo curriculum giudiziario. Ed è per questo che sulla sua vicenda ora è arrivata un’interrogazione parlamentare, indirizzata direttamente alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. A presentarla Giulia Sarti, deputata del Movimento 5 stelle in commissione Giustizia della Camera. La vicenda di Cattafi è stata raccontata negli ultimi mesi da Salvatore Borsellino, che ne ha scritto sul suo blog su questo sito. Ma andiamo con ordine.
Nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1952, una laurea in legge e una vicinanza all’estrema destra durante la gioventù – segnatamente a Ordine Nuovo -Cattafi è stato testimone di nozze di Giuseppe Gullotti, capomafia della sua città natale. È però a Milano che comincia la sua “carriera” criminale. Nel capoluogo lombardo, infatti, finisce coinvolto nell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone, quartier generale di un’organizzazione criminale borderline. Già in carcere in gioventù, è stato condannato per lesioni (in concorso con Pietro Rampulla, il mafioso come lui esponente di Ordine nuovo che sarà poi l’artificiere della strage di Capaci), porto e detenzione abusivi di arma. Ma non solo. Negli anni, infatti, il nome di Cattafi è entrato e uscito da molteplici indagini o procedimenti per reati gravi: dal sequestro dell’imprenditore Giuseppe Agrati, al traffico di stupefacenti. Insieme a personaggi come Totò Riina, Santapaola, i fratelli Graviano, Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie era tra gli indagati di Sistemi criminali, l’indagine di Roberto Scarpinato che può essere considerata l’inchiesta-madre della Trattativa Stato-mafia. Quell’inchiesta finirà archiviata, mentre per tutte le altre vicende il siciliano verrà sempre prosciolto o giudicato non colpevole.
Poi il 24 luglio del 2012 lo arrestano: la procura antimafia di Messina lo accusa di essere al vertice della cosca di Barcellona Pozzo di Gotto. Un reato commesso dagli anni ’70 fino al giorno del suo arresto. Nel 2013 viene condannato in primo grado col rito abbreviato a 12 anni di reclusione, condanna confermata due anni dopo in Appello ma dimezzata: secondo i giudici del secondo grado, infatti, Cattafi non era il capo della cosca di Barcellona ma solo un semplice esponente. E comunque ne ha fatto parte solo fino al 2000. Nel 2015, dunque, l’uomo esce dal carcere: poi, nel 2017, la Cassazione annulla la sentenza rinviando alla Corte d’appello di Reggio Calabria il giudizio per gli anni compresi tra il 1993 e il 2000. In pratica per la Suprema corte manca la prova della partecipazione di Cattafi per quel periodo di tempo, ma stabilisce un cosiddetto “giudicato interno”: la partecipazione di Cattafi all’associazione mafiosa dagli anni ’70 fino al 1993 e la non intraneità per gli anni successivi al 2000.
E qui il secondo processo d’Appello si perde. Dal marzo del 2017 ci vogliono più di due anni prima che la corte d’Appello decida di farlo cominciare. Il reato di mafia è a rischio prescrizione ma la prima udienza del 17 aprile 2019 viene rinviata per quattro volte e otto mesi in totale per difetto di notifica. Poi, il 20 gennaio del 2021, la procura generale di Reggio Calabria chiede di dichiarare prescritto il reato di associazione mafiosa. Se i giudici dovessero dare ragione al pg , cadrebbe anche il giudicato interno, cioè la condanna di Cattafi per il periodo compreso tra gli anni ’70 e il 1993. È per questo che ora la deputata Sarti chiede alla guardasigilli “se non ritenga che il gravissimo ritardo nel trattamento del procedimento a carico di Rosario Cattafi meriti attenzione e accertamenti per eventuali responsabilità disciplinari; se non ritenga allarmante che un criminale responsabile del reato di associazione mafiosa rischi di evitare la condanna per prescrizione”.