Il polo petrolchimico controllato da Eni e Q8 ha portato "una eccezionale diffusione, nella popolazione dei Comuni limitrofi allo stabilimento, di patologie dell’apparato respiratorio e tumorali, anche mortali": i ragazzi della zona lo chiamano "la terra di Mordor". Un processo in corso dal 2018 vede imputati per disastro colposo gli ultimi tre direttori, ma le bonifiche non si sono ancora viste
L’ultima fumata nera della raffineria di Milazzo, visibile a chilometri di distanza dagli abitanti della valle del Mela, preoccupa ancora i cittadini ma non scalfisce quella grande mattonella di marmo, affissa sulla chiesa di Archi, che invoca la Madonna della Catena e “il suo perenne aiuto perché liberi Archi e la Valle del Mela dalle pesanti catene dell’inquinamento”. Abbandonati da politica e istituzioni, mentre il sindaco di Milazzo paragona gli ambientalisti ai mafiosi, gli ormai stanchi cittadini si affidano alla Madonna che li ha “salvati dal disastro ecologico del 2014” – come recita la stessa targa, affissa un mese dopo l’esplosione del 27 settembre che avrebbe potuto uccidere diverse persone.
Non è un caso, infatti, che il primo a lottare contro quel “mostro” che copre la vista delle isole Eolie in uno splendido paesaggio sia proprio chi, in quella chiesa di Archi, ha visto svuotarsi i banchi perché sempre più persone muoiono di tumore. Don Giuseppe Trifirò, ormai quasi ottantenne, ha fatto di questa battaglia la sua missione e prima di schierarsi contro la recente idea di realizzare un termovalorizzatore – che invece entusiasma il sindaco di Milazzo – si è sempre schierato contro quel polo petrolchimico controllato da Eni e Q8, ma gestito dalla Raffineria Milazzo, che negli anni ha portato il lavoro, sì, ma anche la paura. “Io non ho paura – spiega lui con forza nonostante la sua anziana età – da tempo lotto contro questo mostro. Il mio obiettivo è far conoscere a tutti i danni che ha subito questo territorio. All’inizio ci prendevano per pazzi quando dicevamo che qui c’era l’inquinamento, ma quella che sembrava saggezza popolare è stata poi confermata dalla scienza”.
Così, a pochi giorni dalla sentenza dell’Ilva, i mai sopiti moti di Milazzo contro l’inquinamento della raffineria si sono riaccesi dopo un periodo di rassegnazione e delusione che sembrava coinvolgere, tutti anche chi ogni giorno deve togliere i vestiti stesi sul proprio balcone “perché altrimenti li troviamo bucati”. Quelle ciminiere dai ragazzi più giovani vengono chiamate la “terra di Mordor”, come il luogo dove “l’ombra cupa scende” della trilogia del Signore degli anelli di Tolkien. Da anni muovono interessi economici e politici nella terra del Mela, ma anche sulle spalle di questa raffineria – proprio come nel caso dell’Ilva – pesa un processo che potrebbe dare una spiegazione ai tanti casi di tumore dei cittadini di un paesaggio che un tempo era coperto di agrumeti, poi rimossi perché “danneggiati dai fumi della raffineria”, ricordano gli agricoltori.
Il dibattimento a Barcellona Pozzo di Gotto è cominciato nel 2018, con il rinvio a giudizio degli ultimi tre direttori della raffineria succedutisi dal 2014 al 2018: Marco Antonino Setti, Gaetano De Santis e Pietro Maugeri. Da allora procede a rilento. I reati contestati sono il getto pericoloso di cose e il disastro colposo per il grande incendio del 2014, che ha messo a serio rischio la vita dei cittadini milazzesi e dei paesi limitrofi, le cui case si trovano a pochi metri dalle ciminiere. La fiamma che ha acceso, nel vero senso della parola, l’inchiesta nasce proprio da quello spaventoso incendio, che ha portato in strada migliaia di persone a manifestare denunciando ciò che stava accadendo e chiedendo la chiusura dell’impianto, per un inquinamento messo nero su bianco nelle carte del rinvio a giudizio che parla di “una eccezionale diffusione, nella popolazione dei Comuni limitrofi allo stabilimento, di patologie dell’apparato respiratorio e tumorali, anche mortali”.