Con la pandemia da Covid-19, un enorme interesse scientifico e mediatico si è scatenato in tema di infezioni e malattie che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra gli animali. Prima dell’autunno 2019, l’interesse era condiviso tra gli esperti di virologia, i cultori delle armi biologiche, gli scrittori di fantascienza. Con qualche rara, eccentrica eccezione tra i magnati con aspirazioni profetiche.
A partire dall’inverno 2020, l’umanità ha improvvisamente scoperto quanto poco considerato fosse questo tema. Soprattutto da parte di chi avrebbe dovuto pianificare la prevenzione, il monitoraggio e la risposta alla minaccia che tali malattie si possano trasformare in catastrofi di proporzioni globali. E, nel cogliere la portata del rischio, le classi dirigenti sono state spesso incredule, impreparate, incoscienti. Con vette assolute nell’Italia settentrionale.
Comprendere se, come e quanto le attività umane possano facilitare la trasmissione zoonotica delle malattie infettive non è una sfida facile. Il problema viene esplorato da uno studio recente, frutto del lavoro di un gruppo internazionale di studiosi (Rulli, M.C., D’Odorico, P., Galli, N. et al., Land-use change and the livestock revolution increase the risk of zoonotic coronavirus transmission from rhinolophid bats, Nature Food, 31 May 2021). Con i più anziani del gruppo ho lavorato a lungo e lavoro tuttora: il lettore è perciò avvertito che quanto scrivo non è esente dal conflitto di interesse che nasce dalle comuni affinità elettive. Con loro condivido non solo parecchie collaborazioni, ma l’aspirazione verso una scienza transdisciplinare che segua nuovi tracciati, al di fuori e al di sopra dei classici settori disciplinari.
Lo studio sostiene che lo spillover – il salto di specie tra animali e poi tra animali e umani – non sia del tutto indipendente dalla invasione degli habitat della fauna selvatica da parte dell’uomo. Si tratta di un fenomeno globale, conseguenza della espansione delle aree urbanizzate, di quelle coltivate e di quelle dedicate all’allevamento intensivo degli animali. Un processo probabilmente irreversibile, prodotto dalla crescita demografica, dalla necessità di emancipazione dalla fame, dalle molteplici sfaccettature del progresso. Sul rovescio della medaglia, scopriamo ora che questo processo favorisce l’insorgenza di malattie zoonotiche.
Analizzando quasi 30 milioni di chilometri quadrati di copertura forestale, distribuzione delle coltivazioni, densità del bestiame, popolazione umana, insediamenti antropici – assieme alla distribuzione delle specie di pipistrelli e i cambiamenti nell’uso del suolo nelle regioni popolate da pipistrelli ferro di cavallo asiatici – lo studio identifica le aree a rischio di innesco delle epidemie di coronavirus legate alla SARS (Figura 1).
E dimostra che le aree della Cina popolate da pipistrelli ferro di cavallo mostrano una maggiore frammentazione delle foreste e una più massiccia concentrazione di bestiame ed esseri umani rispetto ad altri aree contigue non colonizzate da questa specie. I risultati indicano che le interazioni uomo-bestiame-fauna selvatica in Cina possono dare luogo a hotspot, potenzialmente in grado di aumentare la trasmissività del coronavirus dagli animali all’uomo.
Come osserva un’altra studiosa italiana, Monia Santini, il nesso tra uso del suolo, produzione del cibo, innesco e diffusione della pandemia “non è frutto di un pensiero astratto, ma una realtà concreta e dimostrabile”. In tempo di pandemia, nessuno dubita che il monitoraggio, la vaccinazione e le opzioni terapeutiche siano urgenti, indispensabili, fondamentali. Sarebbe utile, però, non trascurare le azioni strategiche di natura intersettoriale, l’educazione collettiva e la sensibilizzazione sui benefici di un approccio integrato alla prevenzione.
Sappiamo bene che la memoria personale e collettiva tende all’oblio delle catastrofi, come accadde per la pandemia spagnola di cent’anni fa, ma non dimentichiamo che queste azioni sono davvero necessarie e improcrastinabili per mitigare i rischi giocoforza associati alla progressiva antropizzazione del pianeta.