Oggi sono cinque anni dal giorno decisivo in cui il Regno Unito andò alle urne per il referendum sulla Brexit.

Prima del referendum, l’Unione Europea era una questione marginale tra i votanti. Nel 2015, i votanti consideravano l’economia, la sanità, l’immigrazione, la previdenza sociale e l’istruzione più importanti dell’Europa. Per di più, un anno prima del referendum, YouGov pubblicò un sondaggio descrivendo un numero più alto di persone che volevano restare nell’Ue, da quando era stato lanciato il primo sondaggio sulla questione europea. Ma la questione europea divenne un cavallo di Troia pieno di conflitti che sono sempre esistiti sotto la superficie.

L’Ue venne lodata per tutti i successi da chi voleva restare dentro. E venne incolpata per tutti i problemi dell’ Inghilterra da chi voleva uscire. I pro e i contro Ue si sentivano poco o niente nei dibattiti tra politici.

Persone che già si sentivano perse non avevano più niente da perdere, e non avevano neanche voglia di ascoltare profezie nefaste. Dominic Cummings, l’ex consigliere di Boris Johnson e capo della campagna per lasciare l’Ue, Vote Leave, lo comprese bene. Intercettò questo sentimento inventando lo slogan ‘Take back control’ (Riprendete il controllo). Era uno slogan che poteva essere seguito dalla preposizione ‘di’ – potevi inserire qualsiasi cosa volevi: leggi, frontiere, mare, agricoltura, sanità. Dunque, la narrativa di un futuro senza l’Ue di Vote Leave era una narrativa romantica che prometteva un Regno Unito forte, sicuro di sé, indipendente, sovrano (anche se sovrano lo era già). Cummings riuscì, in sostanza, a neutralizzare la negatività di Brexit.

Cinque anni dopo, ‘Take back control’ continua a dominare la politica inglese. La frase è ancora così efficace che i conservatori di Boris Johnson la usano spesso nei loro discorsi. Rappresenta il primo passo nella loro missione decennale di reinventarsi e strapparsi di dosso l’etichetta del ‘Nasty Party’ (partito cattivo).

Recentemente, il premier inglese ha raccontato di come abbia voglia di combattere il disfattismo che per lui ha sempre caratterizzato la Gran Bretagna. Ha sostenuto che “le persone vivono attraverso una narrativa”- e dunque lo scopo della politica non è quello di litigare sui fatti, ma di offrire al pubblico una storia in cui possono credere. Infatti, Johnson crede che l’Inghilterra abbia votato per la Brexit perché il campo “Remain” non offrisse una storia su quanto sarebbe stato bello restare nell’Ue, focalizzandosi invece sulla negatività della Brexit. Questo ci può aiutare a visualizzare, cinque anni dopo, non solo come quel referendum abbia prodotto risultati inattesi, ma anche come abbia catalizzato un riallineamento dei votanti nel Regno Unito che ha cambiato il paese per sempre.

Ora, ‘Take back control’ si è trasformata, diventando ‘Levelling Up’ (saltando al prossimo livello): quest’ultimo slogan si riferisce dunque al progetto del governo conservatore di stimolare la prosperità nelle zone più depresse d’Inghilterra, con una particolare attenzione per il Nord del paese. Levelling Up è un progetto per finire il lavoro cominciato con Brexit: rafforzare il sostegno per il partito conservatore nei seggi precedentemente laburisti che hanno votato in maggioranza per Brexit.

In realtà, Levelling Up è una compravendita di voti: seggi che ultimamente sono stati conquistati dai conservatori tendono ad essere primi nella graduatoria dei finanziamenti del fondo ‘Levelling Up’, anche se sono meno poveri di altri seggi. Dunque la comunicazione dai conservatori resta chiara e stringente: se voti per Boris Johnson il territorio in cui vivi avrà in cambio investimenti. In questo modo, gli elettori hanno l’impressione di aver ‘ripreso il controllo’.

Ma l’aspetto più ironico della vicenda è che sono stati proprio i governi conservatori a creare questo sentimento pervasivo di impotenza. La deindustrializzazione capeggiata dai governi di Margaret Thatcher ha devastato intere comunità nel Nord d’Inghilterra, la Scozia e il Galles, lasciando queste zone senza lavoro, opportunità e speranza. L’austerity di David Cameron ha ferito le zone più povere del paese, e il tasso di povertà infantile si è alzato dal minimo storico che era stato raggiunto e non ha smesso di alzarsi negli ultimi dieci anni di governo conservatore.

Inoltre tanti gruppi, particolarmente chi ha votato per rimanere nell’Ue, non hanno proprio l’impressione di aver ripreso il controllo dopo la Brexit. La maggior parte dei giovani nel Regno Unito si sente trascurata dalla classe politica, priva di opportunità e di quelle libertà che erano insite nell’idea stessa della cittadinanza europea. Il referendum ha intensificato discussioni pericolose sull’immigrazione, ricompensando chi incolpa gli immigrati ed estraniando le minoranze etniche che hanno vissuto un aumento di attacchi a sfondo razzista dopo il referendum.

La pace in Nord Irlanda è in bilico con tutti i problemi dovuti al Northern Ireland Protocol. In un solo anno due leader del governante Democratic Unionist Party si sono dimessi. E neanche in Scozia c’è molta pace: i sondaggisti citano la Brexit come il fattore principale dietro all’aumento di votanti scozzesi che voterebbe per l’indipendenza dal Regno Unito. Nicola Sturgeon, il leader del partito nazionalista scozzese (SNP), non ha mai smesso di richiedere un altro referendum sull’indipendenza scozzese, ed è probabile che Boris Johnson, pur con molta riluttanza, dovrà concederglielo.

Questa immagine caotica del Regno Unito manifesta la discordia stimolata da quel referendum nel 2016. Le divisioni tra comunità urbani e rurali, tra social-liberali e social-conservatori, tra scozzesi, gallesi, inglesi e nord irlandesi, che l’appartenenza all’UE aiutò a tacitare, sono di nuovo all’ordine del giorno. Ora, insomma, tutti vogliono ‘riprendere il controllo’, ma sempre dividendosi. E questo non è un clima dove un partito progressista possa prosperare facilmente. Il referendum ha rotto la coalizione progressista tra la classe media social-liberale e la classe operaia economicamente liberale, ma tradizionalista.

Nel 2021, la popolarità di Boris Johnson non ha smesso di aumentare – nonostante i gravi errori commessi durante la pandemia, nonostante il suo costante mentire, nonostante il clientelismo dei suoi ministri e la sua copertura del razzismo istituzionale nel paese. E ora, contro un governo conservatore ben contento di abbandonare il conservatorismo fiscale e spendere soldi per assicurarsi voti, i progressisti sembrano ancora più inutili agli occhi dei votanti. ‘Take back control’ era uno slogan nel 2016, ma ora è una dottrina: una dottrina difficile da combattere.

Il movimento progressista deve scalare una montagna per riconnettersi con gli elettori, e formare nuovi coalizioni, come tanti partiti socialdemocratici e socialisti in un mondo capovolto dal populismo. Per ritrovare la strada, i progressisti hanno bisogno di una storia convincente per riunire un paese frammentato. La prevalenza di ‘Take back control’ nel Regno Unito ha reso evidente come, in politica, il potere dell’emozione non può mai essere sottovalutato: la storia che vendi conta quanto i fatti.

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