Una delle piacevoli peculiarità della mia Bologna era quella di poter contare sulla discrezione dei suoi abitanti che, secondo una leggenda metropolitana che tanto leggenda non era, non si facevano impressionare dalle celebrità, per cui a Bologna nessuno si stupiva di incontrare nessuno e i personaggi conosciuti non venivano aggrediti da fan indemoniati.
In effetti capitava che Lucio Dalla, Francesco Guccini e altri del loro calibro girassero indisturbati per le vie del centro e così potevi incontrarli in trattoria o passargli accanto senza che altro accadesse. Anche io mi adeguai a questa regola non scritta, soprattutto negli anni in cui, collaborando con il gruppo Taglia 42, mi capitava grazie a loro di partecipare a radio tour e successive cene con vari ospiti musicali famosi in quegli anni. Bologna faceva qualche strappo alla regola solo con un po’ di ressa in attesa dell’uscita di star straniere davanti al Baglioni (hotel di lusso in via Indipendenza).
Una mattina di ottobre di undici anni fa, mentre camminavo sotto ai portici di via Santo Stefano, in pieno centro, mi sono resa conto che mi veniva incontro Samuele Bersani, ma nel frattempo era già entrato in un negozio. A quel punto, infrangendo l’acquisita abitudine bolognese, in fondo non lo ero se non di adozione, ho telefonato tutta emozionata a una mia carissima amica, dicendole che avevo visto il cantautore romagnolo e che però non avevo fatto nulla e mi dispiaceva.
Allora lei mi ha esortato ad aspettarlo, per far cosa non saprei, ma ha insistito tanto che, nonostante mi vergognassi come una ladra, ho deciso di seguire il suo consiglio. Quando è uscito ha visto questa tizia che aspettava a quanto pare lui e ha fatto come per aguzzare gli occhi per capire chi fossi e allora io subito ho cominciato a balbettare: “No, no, scusa, non mi conosci”. Lui per tutta risposta ha detto: “Invece ti conosco, sei una cantautrice, ho ascoltato una tua intervista in radio mentre ero (…)”.
Un veloce scambio di parole e basta, ma non potrò mai dimenticare questo episodio che poi è diventato, per me e i miei amici, un emblematico aneddoto dell’umiltà, del garbo, dell’educazione e della bellezza di questo artista particolare. Sono andata a cercare il mio post di allora su Facebook, quando descrissi l’accaduto senza svelarne l’identità:
5 ottobre 2010
Incontri quel bravo cantautore gentile sotto le torri a Bologna e non vuoi fermarlo, sai che sarai molto stupida ma l’amica con cui sei al telefono ti intima di attenderlo fuori dal negozio, obbedisci, e quando arriva e gli parli scopri che lui ti “conosce”, che mentre parli ti ascolta con attenzione, che è bello come in tv non si capisce abbastanza, e ha un odore fantastico.
Al di là di questo episodio così singolare, allora come oggi, le volte in cui qualcuno ha mostrato di conoscermi è sempre stato molto piacevole. Io credo che mentre si è in cammino per raggiungere fama e successo, ogni formula che attesti il cambiamento di status da sconosciuto a persona nota viene accolto come una festa, con gioia e con un senso di soddisfazione e appagamento. È quello per cui abbiamo fatto anni di gavetta magari, e ci si aspetta di potersi godere anche attraverso queste manifestazioni il grado di popolarità raggiunto.
Successivamente succede qualcosa di diverso credo, e qui entro nel campo delle supposizioni, perché quello stadio successivo io non l’ho mai vissuto. Nel momento in cui troppi ti conoscono e ti assediano, a quel punto è più facile che si senta il bisogno di rifugiarsi nell’anonimato, sviluppando qualche forma di resistenza e rifiuto pur amando i propri fan. Ed ecco che si scappa a vivere da qualche altra parte del mondo, dove si possa andare a fare la spesa in ciabatte senza essere riconosciuti, oppure si cerca uno spasmodico quanto asettico contatto continuo attraverso post, storie, tweet e qualsiasi altro mezzo social che permetta di mantenere il controllo sul proprio aspetto pubblico, pur nella sfera del proprio privato.
In questi ultimi anni, diversamente dal passato, mi è capitato di chiedere una foto a qualche personaggio famoso, ma solo se si trattava di qualcuno che amo, non mi sognerei mai di “importunare” chi non mi piace, e qui ha ragione Madame. È vero che la foto è un simpatico feticcio ma è pur vero che per educazione cercherei di non disturbare se mi accorgessi che il momento è davvero poco opportuno, e qui ha ancora ragione Madame, così come mi augurerei che fosse dotato della stessa educazione chi eventualmente volesse negarsi.
Secondo la mia esperienza da fan posso con certezza affermare che i più umili e disponibili sono gli stranieri. Ho avuto possibilità di avvicinare mostri sacri della musica che, con pazienza e sorriso, si sono resi disponibili per uno scatto veloce o un piccolo scambio di parole, perché purtroppo o per fortuna è grazie a chi ti riconosce per strada che parte del tuo lavoro è assicurato, perciò credo che mantenersi umili sia la strada migliore per un successo personale, che va al di là di ogni altra vittoria di pubblico.