Acciaierie d’Italia è pronta a presentare la propria proposta di piano per la transizione ecologica dello stabilimento di Taranto, con obiettivo ‘l’acciaio verde italiano”. A qualche ora dal deposito della sentenza del Consiglio di stato che ha annullato l’ordinanza del sindaco di Taranto che imponeva la chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva, la società – composta da ArcelorMittal e dallo Stato attraverso Invitalia – che gestisce lo stabilimento siderurgico, si è detta “pronta a presentare già dalla prossima settimana, insieme con i suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth, la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello Stabilimento di Taranto, tramite l’applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l’obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni”.

Il nuovo piano, di cui al momento non si conoscono i dettagli, nasce dall’accordo raggiunto ad aprile – pochi giorni prima dell’ingresso ufficiale dello stato nella gestione della fabbrica – tra ArcelorMittal, Fincantieri e Paul Wurth Italia per un progetto di riconversione del ciclo integrale dell’acciaieria di Taranto. Nel dettaglio Paul Wurth si occuperà di verificare la fattibilità tecnica dell’implementazione di nuove tecnologie nell’impianto esistente per migliorare l’impatto ambientale e definirà gli input necessari all’analisi di fattibilità economica, Arcelor lavorerà invece sulla verifica di fattibilità produttiva delle nuove soluzioni tecnologiche e dei relativi impatti economici/normativi/legali e infine a Fincantieri spetta il compito di verificare la fattibilità dei progetti, con riferimento in particolare a investimenti, tempistica, costi di gestione, in un’ottica di integrazione delle differenti attività di project management.

Solo due mesi prima, le partecipate pubbliche Leonardo e Saipem avevano annunciato l’accordo quadro con Danieli per lavorare a progetti di riconversione sostenibile di impianti siderurgici ad alto consumo di energia, ma evidente il nuovo soggetto pubblico-privato ha optato per il partenariato già scelto dalla multinazionale ad aprile. In mattina è giunta anche la dichiarazione di Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico che ha annunciato come “alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone”. Dichiarazioni che sembrano delineare come tutto fosse già pronto, ma sotto embargo in attesa della decisione del massimo organo amministrativo sul futuro della fabbrica di Taranto.

E forse proprio questo nuovo piano il Governo potrebbe inviarlo in questi giorni al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che vigila sull’esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e che a marzo scorso aveva accusato lo stato Italiano dichiarandolo ancora inadempiente rispetto alla sentenza della Cedu che a gennaio 2019 aveva condannato l’Italia proprio per la gestione dell’affare Ilva. La Cedu affermò che i governi, con la lunga lista di decreti Salva Ilva, non aveva tutelato la salute dei cittadini ionici: quella sentenza è diventata definitiva pochi mesi dopo dato che l’Italia non ha mai presentato appello all’organo della Grande Camera. Eppure in questi due anni, l’Italia non avrebbe fatto grandi passi avanti per rispettare la sentenza della Cedu. Il comitato dei ministri ha infatti ricordato a marzo scorso che “l’esecuzione di tale sentenza esige che le autorità competenti assicurino che il funzionamento attuale e futuro della vecchia acciaieria Ilva non continui a presentare dei rischi per la salute dei residenti e per l’ambiente”. I delegati europei avevano inoltre evidenziato “la mancanza d’informazione sulla questione cruciale in risposta all’ultima decisione del Comitato: notano – si legge nel documento – che in queste circostanze è impossibile valutare i progressi realizzati nell’attuazione del piano ambientale, il rispetto del calendario fissato per la realizzazione dei restanti interventi e l’impatto dell’attuale gestione della fabbrica sulla salute pubblica e sull’ambiente: richiedono alle autorità di fornire rapidamente delle informazioni complete e aggiornate su queste questioni”.

Ed è per questo che entro il 30 giugno l’Italia dovrà spiegare cosa ha fatto per porre rimedio a quelle violazioni ed entro quanto tempo intende attuare tutte le misure perché i tarantini non siano più in pericolo. Un ultimatum che evidentemente non è noto ai giudici del Consiglio di Stato che nella loro sentenza hanno anzi affermato che “l’intrapresa realizzazione delle misure procrastinate per anni, anche a causa della turbolenta situazione finanziaria e delle note vicende giudiziarie penali che hanno coinvolto l’impresa, segna una linea di discontinuità rispetto ai fatti che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso in considerazione nella sua sentenza di condanna”. Per i magistrati di Palazzo Spada, quindi, “l’avvenuta individuazione delle misure di mitigazione, l’inizio (e, per talune, anche la conclusione) della loro realizzazione” ha cambiato il corso dell’emergenza a Taranto. E tanto basta a “escludere il rischio concreto di un’eventuale ripetizione degli eventi e la sussistenza di un possibile pericolo per la comunità tarantina”.

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