Un mio amico tastiera bollente dei social mi fa pervenire il suo ultimo commento di appassionato “rossantico” perbene: “Ora la Destra perde anche in Francia. L’anno si è aperto con la sconfitta di Trump negli Usa, poi l’Afd in Germania ha fallito le elezioni in alcuni Lander. In Spagna il movimento Vox è stato ridotto a percentuali infime. In Slovacchia hanno perso il governo. In Svezia sono scomparsi. In Grecia addirittura sono stati messi fuori legge come organizzazione criminale. Cosa aspetta la Sinistra italiana a mandare a casa personaggi bolsi come Berlusconi, Salvini e la Meloni?”.

Lo chiamo al telefono per dirgli: “Condivido il tuo auspicio, ma per realizzarlo ci vogliono alternative credibili. Come definiresti Enrico Letta?” “Bolso anche lui, un democristiano”. Ecco, riassunto in poche battute, il senso di non disperdere il patrimonio di credibilità rappresentato dall’unico “uomo nuovo” entrato in una politica popolata da maschere usurate, alla ricerca della propria personale sopravvivenza (e del personale cortigiano addetto all’informazione): Giuseppe Conte e il suo breve apprendistato in esperienze indubbiamente contraddittorie, quali i due governi giallo-verde e giallo-rosso; che lo hanno confermato uomo del fare e – al tempo stesso – del dire sincero e disinteressato.

L’avvocato del popolo – come si era definito lui stesso – che non è un “tribuno del popolo”, bensì una risorsa preziosa per quel campo progressista di cui Pier Luigi Bersani sembra il Giovanni Battista. E qui mi fermo nelle assonanze religiose perché alcuni tratti del cattolico pugliese Conte continuano a risultarmi motivo di perplessità: l’evidente profilo moroteo (un leader della Prima Repubblica grande mediatore gattopardesco), l’orrida immaginetta di Padre Pio in tasca. Ma, come dicono a Roma, “il brodo si fa con le ossa che si hanno”. E il sapore che si intuisce nel suo ritorno in scena sembra gradevole. Sempre che Beppe Grillo non riesca nell’intento di farlo scuocere. Nell’evidente volontà di non farsi da parte. Il solito Saturno che si divora i propri figli.

Difatti il presunto guru di Sant’Ilario ha cominciato subito a mettere i bastoni fra le ruote al tentativo difficilissimo di trasformare una compagine di scappati di casa, per di più in evidente stato confusionale, in un soggetto politico. Ossia la prima forza attualmente presente in Parlamento. Quel Parlamento commissariato dell’algido banchiere Mario Draghi, funzionario al servizio della restaurazione antipopolare in corso.

L’opera di boicottaggio era cominciata con estemporanee dichiarazioni in politica estera (l’antiamericanismo è un tema da approcciare in maniera cabarettistica mentre l’amministrazione Biden è intenta a trascinare l’Unione europea nella nuova Guerra Fredda prossima ventura?), prosegue con la messa in discussione del progetto di ricostruzione mentre si avvicinano appuntamenti in cui il fu-Movimento si giocherà persino il proprio titolo ad avere un futuro.

Insomma, si direbbe che il megalomane Grillo si ritenga la reincarnazione del Re Sole Luigi XIV e il suo immortale “dopo di me il diluvio”. Magari anche per una certa affinità di acconciatura. Soltanto che il monarca secentesco esibiva una monumentale parrucca, mentre la vaporosa messa in piega del fu comico dalla voce lamentosa è tutta naturale. In questo personaggio dove il confine tra recita e mondo reale è sempre stato estremamente labile.

Ma sempre all’insegna della io-mania esibizionistica per audience di bocca buona. Un pubblico che si beveva la recita dell’implacabile fustigatore dei vizi altrui in Ferrari e ville sparse, il profeta del Vaffa che occupava la scena dell’indignazione in anteprima rispetto alle platee del 2011 (e così bloccando la nascita di soggetti in grado di rappresentare l’istanza del cambiamento post crollo di Wall Street in maniera meno confusa e giullaresca), il selezionatore (in coppia con il “penombra” Casaleggio padre) di un personale politico assolutamente malleabile perché miracolato (e in larga misura inadeguato), il santone della disintermediazione a mezzo internet dopo aver passato un’intera stagione teatrale a spaccare pc sulla scena, combattuti come il male assoluto, il machista pronto a irridere ragazze molestate.

Insomma, un personaggio confuso e confusionista che non tollera di essere messo da parte e – piuttosto – buca il pallone con cui si dovrebbe giocare la partita. Ennesimo esempio dell’incapacità di rendersi conto quando è giunto il momento del ritiro, come capita non di rado ai personaggi dello show business nazionale. Diventando imbarazzanti. Come Gianluigi Buffon.

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