Cinema

Marco Bellocchio, perché la Palma d’oro a Cannes ha un significato storico

Evviva! Palma d’oro a Cannes a Marco Bellocchio. E mi viene da pensare a quando, nel maggio 2019, uscendo dalla sala dopo la proiezione del suo Il traditore, con un grande Pierfrancesco Favino, provavo una sensazione di puro soddisfacimento per aver ritrovato in quell’opera quello “specifico filmico” (così si chiamava nei mitici Settanta) che, da troppo tempo, era divenuto un miraggio nel cinema italiano degli ultimi anni. Un sentimento quasi patriottico, oserei dire, anche se il termine suona un po’ retorico.

Ora tutti a precisare che il nostro Cinema non è poi così in crisi, anzi è in ripresa, ma riferendosi, nei fatti, sempre e solo agli incassi (Checco Zalone docet) e non agli aspetti specificamente culturali, cinematografici, ribadisco, anche in senso tecnico, dei film. Deprimente, due anni dopo Il traditore, veder apparire sui nostri schermi School of Mafia, una ridicolaggine secondo me, forse, per la odierna tv, dove il buon Nino Frassica (non è certo colpa sua) interpreta Don Turi u’appicciaturi, un boss di Cosa nostra in chiave ridanciana (e neppure troppo), diretto dal giovane Alessandro Pondi, autore, ironia della sorte, di un altro film con lo stesso interprete de Il traditore, cioè Chi m’ha visto del 2017.

Giovane invece non è Bellocchio che ha ben 81 anni, anche se non li dimostra, e meno male che i Grandi vecchi vivono ancora, anche se sono convinto che i bravi giovani cineasti ci sarebbero, ma non hanno mercato in sala, non hanno visibilità e finanziamenti, preferendo i produttori le solite insulsaggini sulle crisi generazionali, sulle problematiche dei liceali o, parlando di politicamente corretto, i “lassativi” film (l’aggettivo non è mio, ma di Tinto Brass) sui migranti. Ma passiamo ad esultare per la Palma d’Oro a Bellocchio.

Ha dichiarato Thierry Frémaux, delegato generale del Festival di Cannes (a Bellocchio era già stato conferito il Gran Premio della Giuria, a Venezia, per I pugni in tasca, nel ’67): “Marco ha sempre messo in discussione le istituzioni, le tradizioni, la storia personale e collettiva. In ogni sua opera, quasi involontariamente, o almeno nel modo più naturale possibile, ha rivoluzionato l’ordine stabilito. Siamo orgogliosi di premiare Marco Bellocchio, uno dei grandi maestri del cinema italiano dopo 56 anni di lavoro affascinante, dopo gli amici registi Bernardo Bertolucci, Manoel de Oliveira e Agnès Varda. È un cineasta, un autore e un poeta”.

Già, un regista che “ha messo sempre in discussione le istituzioni“, come dice Frémaux, soprattutto nell’anno, il 1968, in cui proprio sulla Croisette i registi della Nouvelle Vague (François Truffaut e Jean-Luc Godard, con il contributo della nostra Monica Vitti, di Saura, Resnais, Forman, Samperi ed altri) diedero voce a una protesta che, pochi giorni dopo, porterà nel cuore della Francia il più violento scontro civile dopo la Seconda guerra mondiale.

L’alloro di Cannes a Bellocchio ha dunque anche un significato storico, per lui che divenne regista nel ’62 con Andrea Camilleri, suo maestro al Centro Sperimentale, e fu, sin dai tempi della propria giovinezza a Bobbio, nel piacentino (dove girò I pugni in tasca), un convinto contestatore del sistema e ha sempre condannato l’ipocrisia borghese e le sue contraddizioni, militando anche nel gruppo maoista Unione Comunisti Italiani. E, successivamente, si avvicinò anche ai Radicali, persino candidandosi alle elezioni de La Rosa nel pugno. Fu nell’anno della più intensa contestazione, il ’69, che Bellocchio partecipò al progetto comune di Amore e rabbia con un episodio suo insieme con quelli di Pier Paolo Pasolini, Godard, Bertolucci e Carlo Lizzani.

Non starò qui ad elencare tutti i titoli dei film di Bellocchio (più di 25 e oltre 13 corti), lo hanno fatto più eminenti colleghi. Ma non posso trascurare di ricordare il suo lungo rapporto con lo psicoanalista Massimo Fagioli (scomparso nel 2017). Un rapporto anche di collaborazione professionale che ha portato a film come Diavolo in corpo (con la coraggiosa fellatio – sesso come elemento rivoluzionario – praticata da Maruschka Detmers), La condanna, Il sogno della Farfalla.

Certo, i tempi sono cambiati (in peggio) quanto a voglia di ribaltare lo status quo. Ed è naturale che qualcuno possa bollare quei film ‘d’antan’ di Bellocchio come fuori tempo. Io credo, invece, il contrario: rivederli oggi offre una forte spinta a riflettere, ad agire. Attendo con ansia Marx può aspettare, la vicenda tragica del gemello del regista, Camillo, suicida a 29 anni, che verrà proiettato fuori concorso a Cannes. Un docu-film che si annuncia di grande pregnanza autobiografica, un’autobiografia che, del resto, è presente un po’ in tutti i suoi film.

Del resto, Bellocchio i suoi luoghi natii e di formazione non li molla. Dirige a Bobbio, ogni anno, un laboratorio di regia e recitazione: Farecinema, incontro con gli autori (oltre che il Bobbio Film Festival). E, con gli allievi, gira nelle stesse aree dove ha trascorso la propria infanzia. Uno che non molla, Bellocchio.