Ci siamo. L’Italia ha passato a pieni voti l’esame di Bruxelles sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tutti sembrano contenti, ma siamo sicuri che il piano e la valutazione della Commissione Europea siano davvero positivi?
Osservando le cose da questa prospettiva, dal cuore dell’Unione Europea, va segnalato che nessuno temeva valutazioni negative ed era alquanto improbabile che ci potesse essere qualche intoppo sul “via libera” della Commissione Europea nei confronti di un Recovery Plan presentato da uno che nelle istituzioni europee è di casa come Mario Draghi. Più che esaminare il contenuto, sembra che Bruxelles avesse la garanzia dettata dal contenitore, ossia da chi lo ha presentato, appunto Mario Draghi.
Così martedì la Presidente Ursula von der Leyen, munita di una “valigetta virtuale” piena di miliardi di euro, è volata da Bruxelles a Roma per tagliare il nastro insieme all’apostolo nazionale. Non è stata però una sobria procedura burocratica, infatti – come se fossimo tornati ai tempi de La Dolce Vita di Fellini –, la cerimonia di approvazione si è svolta nello scenografico contesto di Cinecittà.
Così come la Grecia ha fissato l’appuntamento con la presidente tedesca al Partenone di Atene. Italia e Grecia, oltre alle straordinarie storie e culture che hanno influenzato il mondo, condividono oggi un debito pubblico stellare e hanno bisogno di spettacolarizzare gli eventi e indirizzare l’opinione pubblica in un certo modo.
Rimanendo in ambito cinematografico, ma spostandoci su una trama dal sapore poliziesco, bisogna sottolineare che la preziosa valigetta di Ursula non contiene, come nei film del genere, banconote di grosso taglio, e non contiene neanche virtualmente l’intera cifra pattuita (191,5 miliardi, di cui 122,6 miliardi di prestiti). In realtà, con un copione più adeguato ad un film di Totò, la valigetta con cui la Presidente si presenta a Roma non contiene proprio nulla. Si dovrà infatti aspettare la seconda metà di luglio per vedere arrivare nelle casse italiane la prima tranche di 24,9 miliardi di euro, che equivalgono a qualcosa di meno di una normale finanziaria, o dei ripetuti scostamenti di bilancio che ci sono stati in questi mesi di pandemia.
Intanto però, e qui la trama si infittisce, la valigetta vuota di Ursula dovrà tornare a Bruxelles piena di impegni sottoscritti dall’apostolo Draghi. Impegni precisi sulle riforme che vengono chieste da tempo al nostro Paese (giustizia, fisco e Pubblica amministrazione su tutte). Perché a Bruxelles interessano più le riforme in senso liberista che come verranno spesi i soldi a livello nazionale, e se questi serviranno a rimuovere le diseguaglianze territoriali e generazionali e creare crescita.
Il Pnrr (che dal Conte 2 al regno di Draghi non è cambiato tanto) presentava e presenta tantissimi punti oscuri. Con i miei colleghi del gruppo parlamentare dei Greens/EFA al Parlamento Europeo abbiamo provato, insieme ad innumerevoli associazioni civiche ed ambientaliste, a richiamare l’Italia (e non solo) al rispetto degli obiettivi, attraverso una lettera alla Commissione europea e una risoluzione passata con pieni voti al Parlamento europeo. Ma purtroppo il nostro richiamo formale (e la cortese attenzione mostrata dalla Commissione) è stato un lavoro fine a se stesso e, mi duole dirlo, secondo me il tutto era stato già deciso a tavolino.
La valutazione data dalla Commissione lascia innanzitutto ampi buchi sul versante degli investimenti verdi. Pensate che gli obiettivi ambientali prefissati dalla Commissione, in linea con il Green deal e la lotta al cambiamento climatico, sono tutti ampiamente disattesi. Secondo un rapporto del Green Recovery Tracker la spesa effettiva sicuramente allocata alla transizione verde è ferma al 16%, in pieno contrasto con l’obiettivo del 37%. Altro che transizione ecologica, siamo davanti ad un’altra operazione di greenwashing fatta dall’ammucchiata di governo italiana.
Male anche sul tema della coesione sociale e territoriale. Questa era l’occasione di colmare il gap tra il nord e il sud del Paese, con investimenti strategici e spostamento verso sud di infrastrutture e quindi di rotte commerciali utili a tutta Italia per sfruttare la posizione nel Mediterraneo, verso l’Africa e verso oriente. Invece niente, al posto di guardare al 2100 si guarda al 1900 e, caricando di altri debiti le future generazioni, si tende ad incassare il prima possibile “l’assegno europeo” sotto le numerose pressioni dell’industria italiana, quella con le amicizie giuste.
In questi nove mesi prima Giuseppe Conte e poi Mario Draghi hanno sistematicamente tagliato fuori dall’implementazione del Piano sia la società civile, sia gli enti locali (Regioni e Comuni non toccano palla, tutto centralizzato a Roma) sia il Parlamento (che dovrebbe essere l’organo rappresentativo del popolo italiano, seppur composto da nominati dei partiti e non da scelti dal popolo). Questo fattore, di fatto, slega il Pnrr dai veri bisogni del territorio e rischia di vanificare l’utilizzo dei fondi, che – è bene ricordare – è composto in gran parte di prestiti che, senza una grande crescita, diventeranno debiti per le future generazioni. Per non trasformare questo copione in un film dell’orrore andrebbe dedicato proprio ai giovani e al loro futuro l’intero investimento (si chiama infatti “Next Generation Eu”).
La mancanza di trasparenza e condivisone è il comune denominatore degli ultimi governi. Una denuncia partita già mesi fa da tante associazioni e cittadini, contro la logica della stanza dei bottoni o delle task force (che venivano contestate a Conte e sono replicate dall’inattaccabile apostolo Draghi). Le scelte non sono fatte da delegati del popolo, ma da gruppi di “esperti” rappresentativi solo di certe élite e scollegati totalmente dai bisogni del mondo reale.
Insomma, anche se gli obiettivi non sono centrati e il piano lascia a desiderare da tutti i punti di vista, il nome di Mario Draghi ha fatto chiudere più di un occhio alla Commissione Europea, che nella sua valutazione ha solo individuato al ribasso la spesa legata alla transizione ecologica e quella digitale, ma al di sopra del limite minimo.
Dopo il rientro a Bruxelles, la data da segnare in calendario è quella dell’Ecofin del 13 luglio, dove senza colpi di scena i vari ministri dell’Economia europei consegneranno le chiavi della valigetta all’Italia, con dentro i fondi scaglionati e monitorati ogni 6 mesi, insieme al pacchetto di riforme che, nel bene o nel male, impatteranno fortemente sui conti dello Stato e sulla vita degli italiani.