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La Kedrion dei Marcucci fa shopping in Usa. Dopo che la holding di famiglia è stata salvata dai debiti (anche con soldi dello Stato)

La società degli emoderivati si espande. Nel 2019 la famiglia che ha il 51% ha rischiato di perderla a favore delle banche finanziatrici, che avevano in pegno le azioni a tutela di un prestito da 170 milioni. A quel punto il Fondo strategico italiano guidato dall’ex banchiere Maurizio Tamagnini e partecipato da Cdp Equity ha comprato azioni per un valore di 100 milioni e sottoscritto un aumento di capitale per 50 milioni

Kedrion, la società degli emoderivati posseduta al 51% dalla famiglia Marcucci e per il 45% suddiviso da Fsi (il Fondo strategico italiano) e Cdp equity, annuncerà nelle prossime ore, secondo quanto risulta al Fattoquotidiano.it, un’importante acquisizione negli Stati Uniti. Un’operazione di espansione, per il quinto gruppo mondiale nella lavorazione del plasma, che sarà ovviamente salutata con favore. Ma i Marcucci tra cui Paolo, l’amministratore delegato, e i fratelli Maria Lina e Andrea (capogruppo del Pd al Senato) hanno rischiato, solo due anni fa, di perdere l’azienda a favore delle banche finanziatrici della holding di famiglia, la Sestant Internazionale che possiede appunto Kedrion. E a salvarli è arrivato il Fondo strategico italiano (Fsi) guidato dall’ex banchiere Maurizio Tamagnini che ha tra gli azionisti per il 39% Cdp Equity e per il 9,9% Poste vita.

Un salvataggio, quindi, in parte avallato dallo Stato dato che Cdp equity è il braccio finanziario di Cdp che investe nel capitale delle aziende ritenute strategiche. La holding della famiglia Marcucci, Sestant, doveva a metà del 2019 rimborsare un prestito da 170 milioni di euro concesso da Mediobanca, Natixis e Imi nel 2015 alla scatola finanziaria dell’influente famiglia toscana. Ma soldi per farlo non ce n’erano. Le azioni della holding e in parte di Kedrion erano in pegno alle banche a tutela del prestito. Se Sestant non avesse rimborsato il maxi-prestito gli istituti avrebbero potuto escutere i pegni e di fatto far fuori la famiglia da Kedrion.

Che fare a quel punto? Ecco arrivare in soccorso il Fondo strategico che a ottobre 2019 inventa un’operazione. Compra dalla holding dei Marcucci azioni Kedrion per un valore di 100 milioni e fa un aumento di capitale per 50 milioni divenendo azionista al 20% di Kedrion, affiancando Cdp equity che ha il 25% dal 2012. I 100 milioni però non finiscono nelle casse di Kedrion per i suoi piani di investimento o per abbattere il debito, ma entrano direttamente nella società di famiglia che li usa in parte per estinguere (per 70 milioni) il suo prestito con le banche. E così con quell’intervento si salva, più che Kedrion, la famiglia Marcucci indebitata con le banche. Non solo, ma dall’operazione di acquisto da parte di Fsi delle azioni Kedrion, la società dei Marcucci realizza una bella plusvalenza di 33 milioni di euro.

Il socio di minoranza della Sgr di Maurizio Tamagnini, Cdp equity, non ha voce in capitolo nella governance del fondo essendo appunto in minoranza, pur con quel suo 39% nella Sgr di Tamagnini. Cdp equity era entrata con il 25% già nel 2012 in Kedrion con un aumento di capitale da 100 milioni. Quelli sì entrati nelle casse della società dei derivati del sangue. Questa volta, a fine 2019, il Fondo di Tamagnini è invece intervenuto in larga parte con 100 milioni a sdebitare la holding finanziaria dei Marcucci che controllano a valle Kedrion.

Tamagnini con Fsi usa soldi privati, certo, ma resta il fatto che ha tra i soci il braccio finanziario del Tesoro italiano. Che si trova in una posizione scomoda dato che dovrebbe investire in capitale delle aziende strategiche per il Paese e non dare una mano alle finanziarie di famiglia. Tra l’altro l’ad di Kedrion, Paolo Marcucci ha detto di recente al Corriere della Sera che obiettivo del suo operato è ridurre il debito in Kedrion, cosa che finora non pare avvenuta. Nel bilancio 2020 della società della lavorazione del sangue, il debito finanziario netto è salito ancora a quota 599 milioni di euro. Era a 516 milioni nel 2019 e a 500 milioni nel 2018.

Debito finanziario che sale, mentre i ricavi nel 2020 sono scesi a 700 milioni dal picco di 808 milioni dell’anno prima. Con il margine operativo lordo fermo a 160 milioni. I debiti finanziari al netto della liquidità valgono ora quasi 4 volte il margine lordo industriale, un livello che avrebbe dovuto scendere a livello più fisiologici anziché ampliarsi. Chissà se la nuova acquisizione americana invertirà la rotta?