L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, in un'intervista a La Stampa, interviene sul tema della gestione dei flussi migratori, con il Consiglio Ue al via a Bruxelles: "Sarebbe meglio che ad occuparsene fosse l'Europa - ha dichiarato - Ma, giacché così non è, vanno bene anche gli accordi bilaterali di riammissione come quello tra Italia e Tunisia. Stesso dicasi per la Turchia". E critica lo stallo degli Stati europei ai negoziati sui ricollocamenti
Applicare l’accordo stipulato con la Turchia nel 2016 al contesto libico è un errore: nel primo Paese i diritti dei migranti vengono garantiti, nel secondo “le persone recuperate in mare vengono sbattute in centri di detenzione con un trattamento disumano. Non è accettabile”. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, si inserisce nel dibattito internazionale sulla gestione dei flussi migratori parlando a La Stampa all’alba del Consiglio europeo che dovrà affrontare il tema della gestione interna all’Ue e dei negoziati sul nuovo Piano per le migrazioni proposto dalla Commissione. Ma le novità emerse nelle ultime ore, secondo cui si vorrebbero destinare circa 8 miliardi di euro di Bruxelles per stipulare o rinnovare (nel caso della Turchia) accordi con i Paesi di confine per l’esternalizzazione del problema migratorio, allarmano l’Unhcr: “Sarebbe meglio che ad occuparsene fosse l’Europa, ma, giacché così non è, vanno bene anche gli accordi bilaterali di riammissione come quello tra Italia e Tunisia. Stesso dicasi per la Turchia, con cui c’è un’intesa dal 2016. Dal momento che Ankara offre protezione ai rifugiati è legittimo che la Grecia li rimandi in Turchia, dove non subiscono violazioni. L’Unhcr non è parte di quell’intesa ma ha dato dei consigli. La Libia è un’altra storia“.
Anche Grandi attende di conoscere se e quali novità arriveranno dal vertice di Bruxelles. Summit che, al momento, non fa ipotizzare accordi in tempi stretti, vista la volontà dei Paesi del sud Europa, come l’Italia, di mantenere il tema dei ricollocamenti al tavolo, mentre il blocco di Visegrad e alcuni Paesi del Nord lo considerano un tabù: “Spero che i leader europei accendano una luce in fondo al tunnel – dice – L’accordo al ribasso con cui si negozia barcone per barcone è una tattica a brevissimo termine, drammatica tanto per chi aspetta l’esito del negoziato in mezzo al mare quanto sul piano politico, dove ogni volta si ripropone lo scontro tra il fronte dell’accoglienza e quello dei respingimenti. Certo, è meglio che non redistribuire affatto. Mi chiedo però perché non si riesca a concordare un sistema di ricollocamenti, la Commissione ne ha proposto uno, so che i Paesi non sono d’accordo ma possono discuterne le opportune modifiche. L’Unhcr ha offerto all’Ue l’assistenza tecnica per superare le differenze, per esempio con procedure più rapide d’identificazione. Il punto è se i Paesi Ue lo vogliono. Il premier Draghi chiede collegialità ma la politica resta quella degli accordi bilaterali tanto con i partner europei quanto con gli altri, Tunisia, Egitto, Libia, Turchia”.
Così, anche nel corso dell’incontro bilaterale tra il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, l’attenzione si è spostata dalla gestione interna al blocco esterno dei flussi. Tema riproposto, con successo, anche nel corso della Conferenza di Berlino convocata per mercoledì, durante la quale si è riscontrata anche la volontà dei vari attori coinvolti di procedere con il processo di pacificazione della Libia, in vista delle elezioni di dicembre: “Bisogna essere chiari – aggiunge Grandi -, ci sono persone che arrivano in Europa e non possono essere considerate rifugiati perché non sono minacciate in patria e dunque non hanno bisogno di protezione. Queste persone, in assenza di ostacoli, devono tornare nei loro Paesi. Sarebbe meglio che ad occuparsene fosse l’Europa, ma, giacché così non è, vanno bene anche gli accordi bilaterali di riammissione come quello tra Italia e Tunisia”. “Tra Turchia e Libia – aggiunge però – ci sono molte differenze. La gente viene rimpatriata in Turchia con dei rischi, ma lì, in generale, c’è un buon sistema di accoglienza e protezione. In Libia non c’è nulla di tutto ciò e noi ne siamo fuori. Avere un accordo con Tripoli per limitare gli arrivi rafforzando la Guardia costiera libica non è di per sé una cattiva soluzione, ma bisogna rinforzare tutte le istituzioni, soprattutto quelle che si occupano dei migranti. Recuperare le persone in mare per sbatterle in quei centri di detenzione con un trattamento disumano non è accettabile. Se ci fosse un accordo che garantisce il rispetto dei diritti sarebbe un’altra cosa”.
Proprio quella dei migranti cosiddetti ‘economici’ è però “una questione complessa”, conclude Grandi, “la migrazione economica va regolamentata perché è necessaria nei Paesi più industrializzati, tanto per compensare la bassa natalità quanto per evitare l’immigrazione irregolare che, alla fine, rischia di essere dannosa per l’asilo, spesso l’unico canale d’ingresso e dunque sovraccarico. Non di rado poi le cause che spingono a partire sono diverse ma le rotte si sovrappongono. In Libia ci sono migranti economici e rifugiati, ma in quella situazione sono entrambi vulnerabili”.