Sono 59 le richieste di rinvio a giudizio che la Procura di Genova guidata da Francesco Cozzi è pronta a emettere per il disastro del ponte Morandi, crollato il 14 agosto 2018 uccidendo 43 persone e ferendone in modo grave altre 28. Tra di loro i passati vertici di Autostrade per l’Italia (l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli e l’ex direttore centrale operativo Paolo Berti), oltre a tecnici e dirigenti di Aspi e della controllata per le manutenzioni Spea e alti funzionari del ministero dei Trasporti e del Provveditorato alle opere pubbliche. Gli indagati originari erano 71, 69 persone fisiche e le due società Aspi e Spea: dieci posizioni – tecnici con incarichi risalenti nel tempo o ricoperti per periodi limitati – sono state stralciate per ulteriori accertamenti e vanno verso la richiesta d’archiviazione. “Il momento emotivamente più critico – ha dichiarato il procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, che ha coordinato il lavoro dei sostituti Massimo Terrile e Walter Cotugno – è stato il 14 agosto 2018, quando abbiamo ricevuto la notizia. Oggi c’è la massima soddisfazione, con la consapevolezza che i miei colleghi hanno fatto un gran lavoro, sono stati straordinari“.
A fine aprile l’ufficio inquirente aveva inviato gli avvisi di conclusione indagini contestando a vario titolo le fattispecie di disastro aggravato, falso materiale, ideologico e in documenti informatici, crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, omicidio colposo plurimo, lesioni personali colpose e omicidio stradale. Ad alcuni degli imputati, emerge adesso dalle richieste di rinvio a giudizio, è contestata la colpa cosciente, cioè la consapevolezza di aver tenuto un comportamento caratterizzzato da negligenza, imprudenza o imperizia. I tecnici e dirigenti imputati – scrivevano nell’avviso i pm – omettevano “di adoperarsi affinché sul viadotto fossero eseguite attività di diagnosi del degrado (…) ed installati impianti idonei a prevenire il cedimento dei tiranti, nonché sistemi di monitoraggio idonei a consentire un costante e adeguato controllo del suo comportamento, e in particolare affinché si procedesse sugli stralli della pila 9 a interventi che, se realizzati, avrebbero impedito con certezza il crollo“.
I funzionari ministeriali, invece, sono accusati di falso per aver espresso, da componenti del Comitato tecnico-amministrativo del Provveditorato alle opere pubbliche, “parere positivo” sul progetto di retrofitting (rafforzamento) dei sistemi bilanciati delle pile 9 (quella crollata) e 10, presentato da Spea nel 2018. Mentre, secondo i pm, avrebbero dovuto agire “affinché le informazioni e le valutazioni sulle condizioni di grave ammaloramento della struttura” descritte dall’ingegner Antonio Brencich – che parlava, in un documento informale, di “uno stato di degrado impressionante, addirittura con la rottura di alcuni dei cavi metallici degli stralli”, uno “stato generale di degrado del calcestruzzo e delle armature dell’impalcato”, “un pessimo stato di conservazione” e una “incredibile pessima prestazione” del manufatto – “fossero riportate all’interno del parere ufficiale e fossero tempestivamente comunicate agli organi pubblici competenti affinché quella situazione di evidente rischio fosse resa pubblica e il transito veicolare fosse immediatamente interdetto“.
Dall’indagine sono nati altri tre procedimenti “gemelli” sulle opere autostradali italiane. Il primo riguarda i cosiddetti “falsi report”, relazioni ammorbidite sullo stato di sicurezza di altri viadotti in tutto il Paese, che a settembre 2019 aveva portato all’arresto di tre tecnici di Autostrade. Poi c’è l’indagine sulle barriere fonoassorbenti pericolose per cui, lo scorso novembre, erano finiti agli arresti domiciliari Giovanni Castellucci, Paolo Berti e Michele Donferri (i primi due liberati dopo pochi giorni dal Tribunale del Riesame). Un ultimo fascicolo, infine è stato aperto dopo il crollo di una porzione della volta della galleria “Bertè” il 30 dicembre 2019: gli indagati sono 21 (tra cui sempre i tre ex vertici di Autostrade) e a febbraio la Procura ha ottenuto una proroga per altri sei mesi di indagini.