Ogni volta che sento parlare di riforma della giustizia mi vengono i brividi. Parlo di quella penale. Sempre più spesso il populismo la fa da protagonista nelle aule di giustizia dove si processano i reati e sempre meno gli imputati, che vengono asfaltati nel nome del politicamente corretto. Più i fatti di cui sono accusati sono odiosi, meno conta la prova che essi li abbiano effettivamente commessi. E i colleghi avvocati che cercano di difenderli nei processi vengono attaccati, anche personalmente. Tacciati di complicità o, peggio, contiguità morale con il disvalore sociale che indubbiamente esprime il fatto oggetto del processo di turno.
Le regole di diritto vengono violentate perché è sempre importante dare una risposta rassicurante alla paura e all’odio della gente. Non mi riferisco ai ‘grandi processi’ ma a quelli che ogni giorno riempiono i ruoli dei tribunali di provincia. Ci si è completamente dimenticati che la Giustizia viene fatta da uomini e gli uomini possono sbagliare, nel bene e nel male. Il populismo giudiziario vive di semplicistiche mistificazioni esattamente come quello politico. Ne è lo specchio.
I magistrati sono buoni perché perseguono i cattivi e gli avvocati sono proprio i cattivi perché li difendono per soldi. I primi tentano di fare i processi mentre i secondi li sabotano provocando l’allungamento oltre ogni misura tollerabile. Qualche famosissimo giudice è arrivato a sostenerlo anche in tv.
In questo festival di generalizzazioni emotive e ignoranti si sono ora inseriti alcuni scandali che hanno però pesantemente minato la credibilità della magistratura, mettendone a nudo la umana fallacità in ogni senso. Amara e Palamara fanno rima ed evocano lotte di potere. Non certamente quello espresso con virtuoso esercizio, ma quello rispetto al quale i cittadini rimangono ignorati e spesso succubi inconsapevoli. Ecco quindi che la mia paura aumenta a dismisura, travolto dalla terrificante sensazione che le aule giudiziarie, pure chiuse al pubblico per il Covid, diventino arene dove viene semplicemente applicata la legge del più forte. Il tutto nell’indifferenza generale.
Ciò che conta per la stampa sono soltanto i grandi processi con i relativi altrettanto grandi scandali. Sono quelli che fanno urlare a gran voce l’esigenza “delle riforme” che così son ben lungi dall’essere concepite per la vera amministrazione della giustizia, quella che si fa quotidianamente in tutti i normali tribunali della Repubblica.
Il dibattito diventa tifo col quale la “sinistra” del precedente governo partorisce norme a mio avviso liberticide, senza precedenti, che stanno avendo pesantissime ripercussioni in tutti i “normali” procedimenti, come per esempio quella sulle intercettazioni, la regina delle prove. Quella che di fatto oggi viene preclusa agli avvocati in un sistema nel quale sono solo pm e polizia giudiziaria che possono scegliere quelle rilevanti, mentre agli avvocati difensori ciò è di fatto precluso. Per non parlare della prescrizione suscettibile di far rimanere un cittadino imputato a vita e un altro parte civile a vita.
Ecco che la parte politica che critica tutto ciò cercando di ripristinare diritti calpestati diventa magicamente di destra in un bellissimo rovesciamento di valori politici. E questo perché è reso possibile? Perché tutta la politica ha a cuore solo l’interesse particolare di alcune famosissime e delicatissime vicende giudiziarie, le cui contingenze particolari piegano l’interesse pubblico generale.
Tutto ciò non frega a nessuno. Fino a che non ne rimane stritolato. Gli uomini, magistrati o avvocati che siano, fanno la differenza. Stefano Cucchi, in quella drammatica udienza di convalida tenutasi al tribunale di Roma dodici anni fa, ne è drammatico esempio. A volte mi chiedo perché mi trovo ad essere sempre dalla parte “sbagliata”.