Secondo il giudice, l'incarico era infatti "pienamente compatibile" con la condizione fisica dell'uomo, impiegato come tecnico di laboratorio, dato che la mansione principale era quella di installare software sui computer degli studenti
Violazione della normativa antidiscriminatoria. Questa è la sentenza del Tribunale di Ravenna che ha condannato il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Miur) a risarcire le retribuzione non corrisposte a un 42enne disabile impiegato come tecnico di laboratorio, poi licenziato perché – come riporta Il Resto del Carlino – la sua disabilità era stata ritenuta incompatibile con le mansioni da svolgere. La sentenza del giudice Dario Bernardi è stata depositata martedì scorso e dà ragione all’uomo di origine siciliana, da anni residente a Ravenna. All’origine dei fatti c’è un procedimento amministrative avviato nel 2019 dall’istituto in cui il 42enne era impiegato per accertare la sua idoneità al lavoro. La totale disabilità fisica del 42enne, rimasto coinvolto in un incidente all’età di 15 anni, era stata riconosciuta nel 2014 con conseguente “necessità di collocamento mirato con supporto di ausili e/o con l’utilizzo di strumenti tecnici”. Per questa ragione, era stato inserito tra le graduatorie di istituto di terza fascia del personale Ata che riguardano le persone che possono svolgere supplenze del personale amministrativo, tecnico e ausiliario per il triennio 2017/2019.
Nel 2018 il medico competente lo aveva dichiarato idoneo alle mansioni di assistente tecnico “con prescrizioni e limitazioni”. Lo stesso anno, l’uomo aveva firmato il contratto a tempo determinato di 36 ore settimanali, ma nel 2019 poco dopo il suo arrivo in un altro istituto era partita la richiesta all’Ufficio invalidi di Faenza per una visita medica di “accertamento di capacità lavorativa” a causa della sua condizione. Dopo il verbale dell’ufficio, il 10 dicembre dello stesso anno l’istituto scolastico aveva chiuso il rapporto lavorativo. A quel punto, il 42enne aveva deciso di fare ricorso. Come disposto dal tribunale, il lavoratore dovrà ricevere dal Miur tutte le mensilità mancanti alla fine del contratto, oltre agli interessi e alle spese legali. Secondo il giudice, l’incarico era infatti “pienamente compatibile” con la condizione fisica dell’uomo, dato che la mansione principale era quella di installare software sui computer degli studenti.