Dopo 283 presenze pressoché ininterrotte, Luca Zaia superstar ha deciso di interrompere le trasmissioni. Forse il Covid non è stato debellato per sempre, ma la conferenza stampa quotidiana dalla sede della Protezione Civile a Mestre adesso non è più nei palinsesti delle reti unificate venete e dei collegamenti diretti al suo sito Facebook comparsi a lungo anche nell’homepage di molte testate. Bastava un click per entrare nel mondo tragico e grottesco, serio e semiserio, informativo e propagandistico, istituzionale e ribellistico, del governatore leghista. L’ultima apparizione è durata una cinquantina di minuti, molto meno di altre puntate-fiume, nei giorni più drammatici della pandemia. Non ha rinunciato a esibire le uova dei bambini, da cui aveva fatto nascere i pulcini. Non ha dimenticato di citare e ringraziare nessuno, in particolare i giornalisti che gli hanno fatto da corona, invitando qualcuno “del loro mondo” a studiare l’informazione fornita durante questo anno e mezzo. In realtà, l’unica cosa che meriterebbe di essere studiata è questa eterna performance comunicativa del presidente della Regione Veneto, iniziata nel febbraio 2020 e conclusa il 23 maggio 2021. Perché costituisce un unicum di cui è difficile trovare qualche altro esempio, se si escludono le esilaranti trasposizioni di Maurizio Crozza (ringraziato anch’egli dal governatore: se non altro gli ha dato una platea nazionale). E’ una pagina tutta da scrivere che coinvolge politica, cronaca e utilizzo dei mass-media.

Informazione di guerra. Zaia si è messo l’elmetto in testa e ha combattuto in prima linea la sua battaglia. Lo ha detto nel congedo, ricordando che nessuno all’inizio sapeva come sarebbe andata a finire e chi sarebbe sopravvissuto. Di sicuro ha fatto propri tutti i capisaldi dell’informazione bellica. Innanzitutto, mandare un messaggio al giorno, così da far arrivare all’opinione pubblica un’idea chiara, da fissare e metabolizzare. Poi, la messa al bando del disfattismo, il quale è – per definizione – un atteggiamento di accentuato scetticismo o di critica distruttiva nei confronti di strutture o direttive. Ben accette le richieste di chiarimento, ma senza mettere in discussioni la bontà delle scelte, altrimenti si è additati come coloro che vogliono remare contro, per ideologia o partito preso.

Uno, tanti nemici. In questa guerra il nemico era uno solo, il Covid-19, ma lungo la strada Zaia ne ha additati molti altri. Non c’è di meglio che indicare qualcuno che si oppone (ingiustificatamente) alla causa per rinsaldare gli animi e attribuire a capri espiatori eventuali errori o fallimenti. Qualche esempio? Il Comitato Tecnico-scientifico, che a marzo 2020 aveva deciso la zona rossa per le province di Padova, Treviso e Venezia. Il governo in generale, quando prendeva decisioni su aperture-chiusure non in linea con le aspettative del Veneto. Le autorità centrali che lesinavano i vaccini. Il professor Andrea Crisanti, vera contrapposizione al magico dream team sanitario della Regione Veneto, con le sue critiche all’attendibilità dei tamponi rapidi. E anche l’Istituto Superiore di Sanità incapace di capire come il Veneto avesse più positivi delle altre Regioni italiane solo perché faceva “molti più tamponi”.

Siamo i più bravi. I bollettini che inneggiano ai successi sul campo hanno indubbiamente il ruolo di tenere alto il morale delle truppe, ma non sempre rispecchiano la realtà. Un esempio? Zaia era uscito con le ossa meno rotte di altri governatori dalla prima ondata, ma in autunno-inverno ha dovuto fare i conti con cifre di decessi record. Eppure ha continuato, fino allo scorso gennaio, a sostenere in conferenza stampa che i dati erano falsati, proprio per l’efficienza veneta che aveva lanciato una campagna in grande stile con i tamponi rapidi. In realtà il 22 gennaio si era registrato il sorpasso – in valore assoluto, non percentuale – con la tartassatissima Lombardia: da inizio dicembre i decessi in Veneto erano stati 4.653, contro i 4.605 della Lombardia, che però ha una popolazione doppia. La sindrome dei veneti “primi della classe” ha marcato tutto questo periodo, abbracciando altri settori della lotta alla pandemia: terapie intensive disponibili, acquisti di respiratori, numero di tamponi, efficienza organizzativa, macchina vaccinale paragonata a una Ferrari

Una nuova comunicazione politica. Zaia ci ha “messo la faccia”, come dice lui. Si è rimboccato le maniche e si è fatto vedere. “Sono fiero dell’accompagnamento ai cittadini” ha detto. Ma ha anche tratto il massimo di beneficio, da un punto di vista del consenso personale, grazie alla rivoluzione che ha portato nella comunicazione politica con i cittadini, sicuramente un fenomeno di studio per gli analisti della fabbrica del consenso. E’ vero che alle conferenze stampa ha sempre interloquito con i giornalisti, ma in realtà il suo è stato un dialogo diretto con i cittadini-elettori. Ha sempre detto quello che voleva dire e ha mandato i messaggi che voleva mandare tutti i santi giorni, entrando nelle case dei veneti (e non solo). Rassicurante, “informativo” (come si è definito), ma soprattutto convincente. Un persuasore nato, che ha messo a frutto la capacità di parlare in modo semplice e di presentarsi come il cireneo del Palazzo che si è fatto carico delle paure e delle angosce di tutti.

Senza contrapposizioni. Tutto questo è avvenuto senza un reale contraddittorio, che avrebbe potuto solo essere politico. L’opposizione in consiglio regionale, che si è lamentata per la no-stop dalla sede della Protezione Civile, lo ha amaramente capito a settembre quando Zaia ha misurato un consenso elettorale pari al 77 per cento. In primavera hanno cercato di rinfacciargli di essere andato solo tre volte in un anno e mezzo in consiglio regionale a parlare di Covid, segno di una deviazione rispetto alla normale dialettica democratica. Zaia ha rivendicato fino all’ultimo atto ciò che ha compiuto ed è riuscito perfino a blindare la commissione d’inchiesta che le minoranze hanno voluto per fargli vedere i sorci verdi. Francesca Zottis, del Pd, appena eletta presidente, ha dichiarato: “La Commissione non è un Tribunale, ma un tassello importante per costruire un Veneto migliore”. Zaia e la Lega ci avevano già pensato, con 8 commissari su 15, hanno i numeri per approvare qualsiasi decisione.

Fine delle trasmissioni.

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