L’altro ieri a Roma, 22 giugno, facevano 34 gradi e il livello di umidità era preoccupante. Si faceva letteralmente fatica a respirare, uscendo di casa si veniva travolti da un’ondata di phon caldo, salire in macchina un’impresa improba. Eppure la vita continuava a svolgersi normalmente, gente che andava al lavoro, bambini in giro, etc. E giustamente. Che altro potrebbero fare le persone se non tentare di continuare a vivere la loro vita? Chi di riscaldamento globale e crisi climatica non si occupa, chi fa il suo lavoro e basta, non è un politico o uno scienziato tenta di mettere in atto delle misure di adattamento. Si accende l’aria condizionata, chi può va in piscina, si aspetta la notte per un po’ di rinfresco anche se non arriva.
La rimozione delle persone normali è assolutamente legittima. Probabilmente molti non legano il caldo alla crisi climatica, molti sanno che il clima è cambiato sì, ma vengono rassicurati da espressioni come “ondate di calore” che presuppongono appunto che presto comunque il clima tornerà meno caldo. Ciò che è stato assordante in questi giorni è stato invece il silenzio dei media. Leggendo i giornali non ho trovato una sola riga sulle temperature anomale di questi giorni, sui loro rischi ma soprattutto sulle loro cause. Isolato, come al solito, l’articolo allarmista ma inutile nato dai commenti dei meteorologi di meteo.it, sito che purtroppo fornisce dati a molti importanti giornali e al quale questi giornali si rivolgono per parlare di meteo. Sbagliando, perché ormai non ci serve il meteorologo, ma il climatologo. Ed esperto, non uno che lanci allarmi per aumentare i clic.
Chi conosce cause e conseguenze dell’emergenza climatica, invece, sa che queste temperature anomale sono allarmanti davvero. Perché sono la diretta conseguenza di un aumento globale delle temperature che non si arresta, anzi continua ad aumentare, provocando una serie di fenomeni, incendi, siccità ed altro, che a loro volta alimentano e aumentano la crisi climatica, in un circolo difficilissimo da spezzare. Per farlo, bisogna però per primi avere la consapevolezza della sua esistenza e della sua immensa pericolosità per la nostra esistenza.
Questa consapevolezza manca. Manca nelle persone, dicevo, ma non per colpa loro. Manca in giornali e tv, per colpa loro, invece, perché noi giornalisti dovremmo ormai avere tutti gli strumenti per raccontare la crisi climatica e cercare di metterla sotto gli occhi della politica e se non lo facciamo è solo per ignoranza e sciatteria. Eppure ci vantiamo di essere tanto pro scienza solo perché intervistiamo virologi e facciamo reportage sul Covid, come se la scienza fosse solo quella, cioè la virologia e l’epidemiologia (importanti, certo, ma non uniche).
E poi c’è la politica, che sembra essere ancor più ignara del problema di quanto non lo siano le persone comuni che almeno un po’ di ansia ce l’hanno. La politica continua a parlare di tutt’altro, chi deve occuparsi di transizione ecologica come Cingolani non ha mai legato l’importanza della decarbonizzazione alla diminuzione della CO2 e quindi, soprattutto, al tema delle temperature in aumento. Le scelte fatte finora, inoltre, non sembrano mettere il tema della nostra sopravvivenza, con conseguenti scelte radicali, al centro del suo agire. Anzi.
Così, visto che la politica non fa nulla, i media tacciono, la gente mangia ghiaccioli e accende il condizionatore. Ovviamente, quello dell’aumento delle temperature e delle ondate micidiali di calore è un tema profondamente angosciante e disturbante, ha a che fare con la nostra possibile scomparsa e in un modo che non si può pensare. Per questo è normale rimuoverlo per continuare a vivere. Ma vale anche per i politici la rimozione? Sì e no, anzi più no che sì. Anche loro sono persone e anche loro probabilmente sono spaventati. Ma se non interviene la politica con le sue misure, come si potrà cambiare questa tendenza?
I politici hanno paura di parlare di crisi climatica, primo perché non ne sanno molto, secondo perché temono di perdere consensi. Così, continuiamo con misure di adattamento alle ondate di calore, che però – tra l’altro – sono diverse per i ricchi e per i poveri, perché i primi appunto lasciano la città per le case di mare o montagna, gli altri restano negli edifici arroventati.
Insomma, dentro la crisi climatica c’è tutto. Per questo dovrebbe essere al centro dei nostri pensieri e del nostro agire, anche perché, se se ne parlasse, forse l’angoscia nascosta scemerebbe. Forse ci si potrebbe concentrare su cosa si può fare per proteggersi e per cambiare, invece che fare finta di niente aumentando le paure sotterranee che esistono, perché in fin dei conti le persone si rendono conto che un caldo simile non è “normale”.
Ma probabilmente servirà qualche choc ambientale simile a quello della pandemia per far sì che cominciamo davvero ad occuparci del tema. Per vedere i climatologi (e anche filosofi e scrittori, su questo tema) in tv, per vedere la politica muoversi. E’ che preferiremmo non arrivarci, a dirla tutta. La pandemia avrebbe dovuto insegnarci che la prevenzione è tutto, in ogni ambito. Non sembra, tuttavia, averlo fatto. Altrimenti non saremmo tutti qui a far finta di niente, a parlare del ritorno alla vita post mascherina e del rilancio dell’economia, con un caldo che ci impedisce di muoverci e persino di respirare.