Sabato tornano a manifestare tutte le realtà impegnare per il diritto all'abitare. Chiara Davoli, ricercatrice dell'università di Siena: "Un quinto dei proprietari sulla soglia di povertà, in quasi un terzo dei casi situazioni di sovraffollamento". Ecco come i collettivi uniscono critica e proposta. A partire da un piano per una legge di iniziativa popolare
No alla trasformazione della casa da bene d’uso a bene di mercato e rivendicazione e organizzazione per la riappropriazione indiretta di reddito attraverso la casa. E’ in forza di queste due direttrici che sabato 26 giugno scenderanno in piazza, a Roma, tutte le realtà nazionali impegnate per il diritto all’abitare. Un corteo che dalle 15 partirà da piazza Indipendenza per arrivare a Porta Pia, sotto le finestre del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con la dichiarata volontà di non confliggere con il Roma Pride, il cui corteo partirà alle 17 da piazza Vittorio Emanuele II. La manifestazione è animata, tra le varie associazioni, da Asia-Usb, Rentstrike, Cambiare Rotta, Movimento per il diritto all’abitare.
Il corteo è organizzato a ridosso della fine del blocco degli sfratti, il 30 giugno, con l’intenzione di denunciare sia la fine di una misura comunque “arginante”, sia la sua stessa inefficacia, interpretata come parte di una serie di espedienti temporanei e non strutturali. L’emergenza sociale legata alla crisi pandemica, che – come testimoniano i dati Istat – ha visto crescere il numero di poveri assoluti di un milione nel solo corso del primo anno di Covid. L’Istat segnala come le misure di sostegno introdotte dal governo abbiano diluito l’intensità della povertà assoluta, ma senza fermarne il suo aumento, sempre in termini assoluti. Disoccupazione e precarizzazione stanno al centro di questi processi, che rispetto al tema dell’abitare si traducono in una chiara difficoltà nel pagare l’affitto, ma che coinvolgono pure le famiglie di piccoli proprietari che, pur pagando un mutuo, sono povere e non riescono ad affrontare le spese fondamentali per il sostentamento. Da qui le motivazioni della manifestazione: le organizzazioni ritengono che senza permanenti sostegni al reddito e interventi di calmierazione degli affitti, l’ampio mondo dell’inquilinato rischierà concretamente di trovarsi per strada per morosità incolpevole e i piccoli proprietari non smetteranno di essere in difficoltà.
Ma, strutturalmente, da dove deriva questo processo? Chiara Davoli, assegnista di ricerca presso l’università di Siena, spiega che gli sfratti sono progressivamente aumentati a partire dal 1998, cioè da quando è entrato in vigore l’equo canone ed è stato liberalizzato il mercato della locazione. “Ci sono stati picchi significativi nel 2008, 2011 e 2014. In ottica di più lungo periodo si può rilevare che dagli anni Ottanta a oggi le richieste di sfratto sono aumentate del 111 per cento, di cui il 136 per cento per morosità. Al contempo gli sfratti eseguiti sono aumentati quasi del 50 per cento. Non solo, se fino agli anni Novanta la curva dei redditi si era mantenuta più alta rispetto a quella dei costi dell’abitazione, dall’inizio degli anni Duemila questa tendenza ha iniziato a invertirsi”. Per la ricercatrice i dati sugli sfratti vanno intesi non solo come “uno degli indicatori più lampanti sul disagio abitativo“, ma “ci dicono molto rispetto alle politiche adottate e alla liberalizzazione del mercato degli affitti, che ha aggravato ulteriormente il problema della casa”.
Tutto questo, tuttavia, non riguarda soltanto chi si trova in affitto o chi è in attesa di una casa popolare – dunque le fasce di reddito più basse che non hanno una casa di proprietà – ma coinvolge evidentemente anche i proprietari di casa. Per Davoli ci sono dati altrettanto allarmanti che “confliggono con la retorica dell’Italia dei proprietari e con la politica degli sgravi fiscali per l’accesso alla prima casa: anche i proprietari si trovano in difficoltà nel pagamento delle utenze e per il costo della vita. Non a caso il 18-20 per cento dei proprietari è sulla soglia di povertà e il 28 per cento vive in situazioni di sovraffollamento“. Inoltre, come la ricercatrice aveva già rilevato in alcuni lavori precedenti “ci sono sempre più famiglie indebitate con le banche. I proprietari con mutuo sono aumentati di cinque punti percentuali e quelli senza mutuo sono diminuiti di oltre cinque punti; nello specifico 3,6 milioni di famiglie (pari al 19,2 %), pagano la rata del mutuo per la prima casa, che mediamente si assesta a quasi 600 euro mensili”.
Ciononostante, continuano a mancare piani di riforma strutturali nonostante l’attuale afflusso di risorse. Davoli sottolinea come nel corso degli ultimi anni la casa sia stata uno dei grandi assenti delle politiche pubbliche e sociali italiane e questo sembra valere anche oggi per il Recovery Plan. Su 220 miliardi alla casa ne spettano 9 per la rigenerazione urbana e solo 500 milioni (lo 0,5 per cento) per gli alloggi sociali, ossia per il potenziamento del cosiddetto housing sociale, che ha sostituito di fatto l’edilizia residenziale pubblica. Sono poi indicati alcuni interventi ulteriori che si riassumono secondo una logica di agevolazione fiscale, senza articolare misure sostanziali per il contrasto al problema abitativo.
Tuttavia, sull’onda delle polarizzazioni sociali legate alla crisi pandemica e nel quadro delle proposte alternative possibili, si stanno articolando diversi panorami. Stefano Portelli, antropologo affiliato all’università di Leicester, ha seguito da vicino l’evoluzione della campagna globale per lo sciopero degli affitti, i rentstrike: diversi inquilini che partecipano alla campagna in varie parti d’Italia saranno presenti alla manifestazione del 26. Questa campagna è nata da un collettivo californiano ed è poi circolata in altre città degli Stati Uniti e in Canada, ma anche in Europa, lanciando una chiamata globale a un nuovo utilizzo dello strumento dello sciopero contro il pagamento degli affitti. “L’idea alla base della campagna – spiega Portelli – è che l’astensione dal pagamento, la contrattazione con i proprietari, l’autoriduzione del canone d’affitto, non sono solo forme individuali di resistenza alla crisi sanitaria e abitativa. Sono anche strumenti collettivi per articolare una resistenza allo strapotere della grande proprietà immobiliare, che sembra ormai dettare l’agenda allo Stato”.
Alla battaglia sugli affitti, sin dall’inizio della pandemia, hanno aderito gruppi di varie parti d’Europa: in Italia sono attivi specialmente nuclei territoriali a Bologna, Firenze, Roma e Milano. Ai picchetti antisfratto, sempre più frequenti, queste nuove reti alternano momenti di confronto , anche con le realtà che promuovono la manifestazione del 26 dopo le prime collaborazioni per l’Housing Action Day, giornata internazionale per il diritto alla casa, e per il Convegno sull’abitare, che si è tenuto all’occupazione abitativa Metropoliz, l’ex salumificio in via Prenestina a Roma.
Un lavoro comune di impegno di critica e proposta. In questo contesto si è costruito un ragionamento ampio sul diritto alla casa che pone al centro questioni più complessive e strutturali come la tassazione del vuoto, lo stop degli sfratti e degli sgomberi, il cosiddetto “rent control” e la creazione di un nuovo piano per l’Erp a zero consumo di suolo, oltre all’abrogazione dell’articolo 5 del Piano Casa Lupi, che vieta la residenza a chi occupa per necessità. Ne è emerso un piano articolato, che si struttura su cinque punti e che si indirizza verso la formulazione di una legge di iniziativa popolare che prevede anche una petizione online.