Tempo scaduto. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, con un decreto firmato oggi, ha negato ad Acciaierie d’Italia la proroga per gli interventi di messa a norma della batteria 12 della cokeria dell’ex Ilva di Taranto. Il tempo per adeguare l’impianto a quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale scadrà il prossimo 30 giugno e la società composta da ArcelorMittal e lo Stato attraverso Invitalia aveva chiesto di spostare il limite di tempo fino al prossimo gennaio 2022. Quasi a sorpresa, però, è arrivato il no del ministero. È infatti la prima volta che il dicastero nega ai gestori della fabbrica la proroga dei lavori di ammodernamento di un impianto determinate per la produzione di acciaio.
La batteria 12, infatti, è tra le più grandi del reparto Cokerie dove viene appunto prodotto il coke necessario per alimentare gli altiforni. Una minore disponibilità di coke, quindi, vuol dire meno attività negli altiforni e quindi meno acciaio prodotto. E il no del Ministero potrebbe impedire la ripartenza dei reparti Altoforno 4 e Acciaieria1: al momento la linea di produzione dell’ex Ilva è infatti limitata a due soli altiforni (Afo1 e Afo2) e all’Acciaieria2. Una situazione che potrebbe far sfumare l’obiettivo di 5 milioni di tonnellate d’acciaio sperato dai nuovi gestori. Di contro la ricaduta più immediata potrebbe essere quella di un nuovo ricorso alla Cassa integrazione: dal 28 giugno parte, infatti, a Taranto una ulteriore tranche di cassa integrazione ordinaria per un numero massimo di 4mila dipendenti per 13 settimane. Sul punto già nei giorni scorsi erano insorti i sindacati: il nuovo ricorso agli ammortizzatori sociali aveva scatenato le ire di Usb che in un comunicato aveva sostenuto che “la nuova cigo non è altro che la prova degli esuberi strutturali che peraltro rispecchiano il primo piano industriale presentato da Arcelor Mittal, che prevedeva un massimo di 5mila dipendenti a fronte di 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno”. A Genova, infatti, la situazione in queste ore è stata particolarmente critica, con momenti di tensione e tafferugli davanti alla prefettura quando la polizia messa a difesa del portone del palazzo del Governo è entrata in contatto con gli operai dell’ex Ilva. Quattro rappresentanti delle forze dell’ordine (due agenti del reparto mobile, un carabiniere e un funzionario della Digos) e due operai sono rimasti contusi.
Esultano invece i movimenti ambientalisti di Taranto. Per Alessandro Marescotti di Peacelink il fermo della batteria 12 è un “vittoria del Comitato Cittadino” che, dopo aver rilevato l’inottemperanza alle prescrizioni autorizzative, il 15 giugno scorso aveva scritto proprio a Cingolani che “la batteria non è stata dotata della tecnologia ‘Sopreco’ per abbattere le emissioni, non sono state inoltre installate cappe di aspirazione performanti allo sfornamento, non è stata infine attivata la doccia per abbattere le polveri nella fase di spegnimento del carbon coke. Tutte tecnologie – hanno evidenziato gli ambientalisti – che andavano installate in questi anni e che era possibile installare”. Nella mail inviata al MIT inoltre, Marescotti aveva aggiunto che “questa batteria della cokeria sfora il limite di emissioni di 25 g/t coke per le polveri. Nel quartiere Tamburi le polveri con benzo(a)pirene sono sensibilmente superiori a quelle che ricadono in periferia” e secondo quanto ha accertato Arpa Puglia “sussiste una criticità per le deposizioni di benzo(a)pirene con valori delle postazioni Deledda e Tamburi Orsini che risultano, rispettivamente, pari a circa 10 e 20 volte la media annuale rilevata” nel quartiere a 10 km dalla fabbrica nonostante sia caratterizzata “da simile orografia e densità antropica, incluso traffico veicolare”.
A qualche giorno dalla batosta inflitta dal Consiglio di Stato, quindi, arriva una consolazione per i movimenti civici tarantini. Un piccolo segnale da Roma che, forse, potrebbe essere l’avviso di un cambio di atteggiamento verso i padroni dell’acciaio e soprattutto nei confronti della comunità ionica.