Da inizio pandemia al 31 maggio 2021, i contagi di Covid-19 avvenuti sul lavoro sono stati 175.323, quasi un quarto del totale delle denunce di infortunio dell’ultimo anno e mezzo. Si tratta del 4,2% del totale dei contagi nazionali registrati dall’Istituto Superiore di Sanità dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. A dirlo sono i dati presentati dall’Inail nel 17esimo report nazionale sui contagi di Covid sul lavoro, che analizza l’impatto delle ondate della pandemia sull’andamento delle denunce di infortuni sul lavoro.

Secondo l’Inail la seconda ondata, ovvero il periodo che va da ottobre 2020 a gennaio 2021, ha visto un’incidenza di ‘infortuni’ da Coronavirus pari al 59,6% del totale. A novembre, in particolare, è stato registrato il maggior numero di infezioni di origine professionale, 40.029: un picco che ha preceduto la discesa, in linea con i risultati ottenuti dalla campagna vaccinale. Nell’ultimo quadrimestre, poi, da febbraio a maggio 2021, l’incidenza è scesa all’8,4%. Anche se facendo segnare dei numeri inferiori in fatto di contagi, la prima ondata si è invece dimostrata particolarmente letale: il 55% dei casi registrati da marzo 2020 a maggio 2020 è stato mortale (il 30,2% di questi nel solo mese di aprile). Quasi il doppio del 29,6% del trimestre novembre 2020-gennaio 2021 e comunque molto di più del 41,5% del periodo novembre 2020-maggio 2021.

Distribuzione geografica – Uno degli altri indici presi in considerazione dal report è quello che riguarda la distribuzione geografica degli infortuni. Il 43,2% delle denunce di contagi sul lavoro è avvenuto nel Nord-Ovest, con la Lombardia in testa (il 25,6% del totale della zona); il 24,5% riguarda invece il Nord-Est (i contagi della sola regione Veneto sono pari al 10,6%); il 15,1% sono avvenuti al Centro (il 6,5% nel Lazio); mentre il 12,6% al Sud (con un picco in Campania del 5,7%) e nelle Isole il 4,6%. Com’è facile intuire, la provincia di Milano è quella che da inizio pandemia fa segnare il numero maggiore di contagi sul lavoro, con il 9,7% del totale (seguono Torino con il 7,1% e Roma con il 5,2%). Guardando decessi, la percentuale più alta resta nel Nord-Ovest con il 40,2% del totale dei casi (il 28,3% di questi riguarda la Lombardia), ma seguita dal Sud, dove risulta mortale il 24,4% dei contagi (11,6% in Campania).

Contagi di genere, età e origine – Altro dato interessante che espone il report è quello che riguarda i “contagi di genere“, che vede un numero assoluto maggiore tra le donne ma una mortalità più elevata tra gli uomini. L’83,6% del totale degli ‘infortuni Covid’ denunciati da questi è risultato mortale. Il 72,3% riguarda la fascia d’età dai 50 ai 64 anni, il 18,5% per gli over 65 mentre tra gli under 35 è risultato mortale solo lo 0,8% dei casi. Sul totale, però, la quota femminile di denunce è pari al 68,8% dei casi, risultando maggiore di quello maschile in tutte le regioni tranne Calabria, Sicilia e Campania. L’86,3% delle denunce presentate, poi, riguarda lavoratori italiani. Il restante 13,7%, invece, è straniero: il 21% rumeno, il 12,8% peruviano, l’8,1% albanese. Rispetto ai decessi, invece, 9 morti su 10 sono italiani, il 90,3%.

Professioni contagiate: in testa gli operatori sanitari – La maggior parte dei contagi sul totale degli infortuni sul lavoro è stato registrato tra le industrie e i servizi, rispettivamente il 97,1% e l’89,8%. Il settore della sanità e dell’assistenza sociale – che comprende ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – è sempre al primo posto tra le attività produttive colpite, con il 65,9% e il 25,1% di casi mortali. Risulta evidente il calo delle infezioni reso possibile dai vaccini, con una inversione di tendenza osservata a partire ancora una volta dallo scorso febbraio. Oggi, con oltre il 95% dei sanitari vaccinati, il numero dei contagi ospedalieri è sceso ai livelli dell’estate 2020: il 4,6% del totale delle denunce di infortunio sul lavoro presentate in Italia riguarda proprio i tecnici della salute, da infermieri a medici fino a operatori socio-assistenziali (nel primo trimestre della pandemia erano il 39,1% e nella “seconda ondata” il 39,3).

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