Il deputato del Pd Andrea Romano è il presidente della nuova commissione d’inchiesta sul disastro del Moby Prince, la strage del mare avvenuta la sera del 10 aprile 1991 davanti a Livorno nella quale morirono 140 persone. L’elezione di Romano è avvenuta all’unanimità nella prima seduta dei lavori. A comporre l’ufficio di presidenza saranno anche Manfredi Potenti (Lega) e Pietro Pittalis (Forza Italia) come vicepresidenti, Silvia Fregolent (Italia Viva) e Mara Lapia (Misto) come segretarie. Fuori dai posti di rilievo, secondo gli accordi della maggioranza, il Movimento 5 Stelle, nonostante sia il gruppo più numeroso in commissione.
Il lavoro di questa nuova commissione inizierà a trent’anni dai fatti e, secondo Romano, sarà la prosecuzione dell’inchiesta del Senato che nella precedente legislatura aveva ribaltato la ricostruzione del disastro uscita dai tribunali penali. “La precedente commissione d’inchiesta ha permesso di chiarire cosa non è accaduto, ha tolto dal tavolo molte false piste che avevano ispirato sentenze giudiziarie largamente infondate – dice il presidente a ilfattoquotidiano.it, livornese -. Anche se la nostra non sarà una Commissione con spirito polemico verso i magistrati che hanno lavorato sul caso, è ovvio che questa sia la base di partenza: sappiamo che non c’era nebbia, non ci fu distrazione né negligenza del comandante e dell’equipaggio Moby Prince, sappiamo che le vittime non morirono nei primi 30 minuti dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo e questa si trovava dove non doveva essere. Adesso spetta a questa Commissione chiarire cosa è accaduto, accertare fatti in via definitiva. Il primo: perché Moby Prince e Agip Abruzzo si sono scontrate”.
Onorevole Romano, avete un anno e mezzo di tempo per raggiungere questo obiettivo mancato da trent’anni. Come pensate di farcela?
Credo che la verità sia vicina. La prima commissione presieduta da Silvio Lai, che voglio ringraziare per il lavoro svolto, si è fermata a poca distanza dal traguardo. Oggi abbiamo elementi mai intravisti prima, come le foto satellitari (dei giorni successivi alla collisione, ndr) negate per tanti anni. Se ci sono quelle, offerte dall’agenzia scientifica statunitense Usgs, confidiamo che ce ne siano altre. Sappiamo poi che ci fu un’esplosione a bordo della Moby Prince che dev’essere ulteriormente indagata. Ci sono ipotesi a riguardo ancora da chiarire: una a mio parere tra le più interessanti è che l’esplosione abbia un legame diretto causale con la collisione e potrebbe essere stata decisiva.
Sul punto il consulente esplosivista della precedente commissione d’inchiesta, Paride Minervini, terminò la sua relazione con l’invito ad analizzare con le nuove tecnologie scientifiche “gli oggetti e i residui d’incendio” prelevati nel locale del Moby Prince dove avvenne l’esplosione e conservati in tribunale a Livorno. Lui si fermò all’invito, voi li analizzerete?
Faremo assolutamente la perizia su quei reperti. Così come vogliamo recuperare altri materiali dai fondali sul luogo della collisione. Perché sappiamo che c’è ancora qualcosa. Da questo punto di vista una delle nostre intenzioni è di utilizzare larga parte dei consulenti della prima commissione che hanno lavorato bene. E concludere così gli accertamenti rimasti incompiuti. Ad esempio vogliamo fare il riversaggio del famoso “bobinone” dove sono rimaste impresse le conversazioni radio della notte dell’incidente: ci sono altre registrazioni finora inascoltate in quel nastro, oltre quelle note del canale di emergenza, e le vogliamo ascoltare.
Sempre sulla dinamica dell’incidente, lei accennava alle foto satellitari. Finora, tolti i tracciati radar aeronautici italiani di Poggio Lecceta che non potevano “fotografare” la scena della collisione, le autorità militari – italiane, statunitensi e Nato – hanno sempre negato alla magistratura e alla precedente commissione di avere qualcos’altro da offrire, nonostante sostassero in rada a Livorno sette navi militarizzate americane cariche di armi di ritorno dalla Guerra del Golfo. Sembra curioso per non dire inverosimile. Avete in mano qualche carta speciale per superare questo muro di gomma?
Il caso delle foto satellitari ottenute tramite l’agenzia scientifica statunitense Usgs ci dice che ci sono piste da esplorare. La Commissione tornerà ad usare i canali diplomatici e siamo ottimisti. Confidiamo sulla collaborazione con gli Usa. Il presidente Mattarella ha usato parole di una chiarezza indiscutibile “dev’essere fatta piena luce” ed è anche presidente del Csm. Se dice questo, sottolineando che le sentenze non hanno fatto piena luce, ci dice che tutte le istituzioni della Repubblica sono consapevoli che quella luce vada fatta. Questo coinvolge anche la nostra diplomazia. Dobbiamo considerare comunque che non tutte le navi all’epoca avevano radar capaci di registrare i tracciati. Noi vorremmo trovarne almeno uno. E confidiamo di riuscirci.
Il 22 aprile scorso l’armatore del Moby Prince Vincenzo Onorato ha rotto un silenzio di più di vent’anni sul caso rilasciando una lunga intervista a La Nuova Sardegna dove citava come causa della collisione proprio l’esplosione connessa a scenari geopolitici legati alle navi militarizzate Usa in sosta nella rada la notte del 10 aprile 1991. Chiederete chiarimenti in merito a Onorato?
Certamente audiremo nuovamente Vincenzo Onorato, come fatto dalla precedente commissione. Ma sulla sua intervista preferisco non pronunciarmi per rispetto del lavoro che faremo a riguardo insieme agli altri commissari.
Ha dedicato la sua elezione a presidente della Commissione d’inchiesta a Loris Rispoli, storico leader dei familiari delle vittime alle prese con una difficile riabilitazione dopo un infarto. Questa nuova inchiesta è un ennesimo tassello della riabilitazione dello Stato in un percorso di verità e giustizia che ha ferito i familiari delle vittime come Loris, da ultimo con la sentenza del tribunale civile di Firenze?
Per trent’anni Loris ha combattuto insieme agli altri familiari perché non calasse il silenzio sulla strage. Tutti aspettiamo il suo ritorno, il suo pieno recupero e il suo rinnovato impegno per la verità. Il caso Moby Prince ingenera a volte sconforto rispetto al ritardo delle nostre istituzioni nell’arrivare alla verità e alla giustizia. Ma allo stesso tempo invita ad osservare come le istituzioni repubblicane abbiano saputo riconoscere i propri errori e provare a sanarli. Il Parlamento italiano all’unanimità, sia nella precedente legislatura che in questa, si è attivato per fare piena luce. E’ un messaggio di fiducia nella capacità delle istituzioni di trovare la verità e se la raggiungeremo sarà un successo. Sappiamo che la Procura di Livorno ha un fascicolo aperto sul caso, ho molto rispetto del dottor Squillace Greco che la guida e chiederemo un incontro con lui per confrontarci sul nostro lavoro. Sono certo che farà le sue valutazioni su quanto emergerà. Spero che non si ripeterà quanto accaduto col tribunale civile di Firenze che ha usato parole poco accorte su quanto emerso dalla precedente inchiesta parlamentare. Quel lavoro non fu solo – come definito in sentenza – “un atto politico”, ma un lavoro di qualità d’indagine, di acquisizione di nuovi elementi che possono essere utili anche alla magistratura. Visto che molti reati sono prescritti ma alcuni non cadono mai in prescrizione.