L'accordo dovrà ora passare il vaglio del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura che si terrà all’inizio della prossima settimana e, dopo l’estate, essere approvato dalla Commissione Agricoltura del parlamento e, infine, in plenaria. Un percorso legato alla partita del Piano Strategico Nazionale da chiudere entro l’estate del 2022. Nel frattempo gli ambientalisti sono sul piede di guerra: "Schiaffo alle ambizioni ambientali e climatiche dell’Ue" dice Eleonora Evi
Il trilogo porta all’accordo sulla riforma della Politica agricola europea, slegandola dal Green Deal e lasciando a casa l’ambizione su come spendere oltre 386 miliardi di euro (circa il 33% del bilancio comunitario) dal 2023 al 2027. L’intesa finale è arrivata nel pomeriggio, ma sul più importante dei tre pacchetti della riforma il compromesso tra Europarlamento, Consiglio Ue e Commissione è stato raggiunto nella notte. Parliamo del regolamento sui piani strategici nazionali, che riunisce quelli storici su pagamenti diretti e sviluppo rurale (primo e secondo pilastro). E sugli eco-schemi l’intesa è al ribasso. Sarà destinato, infatti, ai programmi di finanziamento per gli agricoltori che presentano i progetti più virtuosi solo il 25% delle dotazioni nazionali per i pagamenti diretti, tra l’altro con diverse flessibilità. Intanto un tetto al 20% tra il 2023 e il 2024 (learning period). Il Parlamento chiedeva che si arrivasse al 30% del primo pilastro (circa 58 miliardi di euro), ma si era già detto pronto ad accettare il 25%, mentre il Consiglio era rimasto a un 20% (quasi 39 miliardi). In pratica, una differenza di 20 miliardi tra le due posizioni, secondo le stime della Commissione Ue. “Mi riempie di grande soddisfazione poter affermare che ce l’abbiamo fatta” ha scritto su Twitter, il Commissario Ue all’Agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski. E ha aggiunto: “Su alcuni punti avremmo potuto desiderare un risultato diverso, ma nel complesso penso che possiamo essere contenti dell’accordo che abbiamo raggiunto”. Accordo che dovrà ora passare il vaglio del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura che si terrà all’inizio della prossima settimana e, dopo l’estate, essere approvato dalla Commissione Agricoltura del parlamento e, infine, in plenaria. Un percorso legato alla partita del Piano Strategico Nazionale da chiudere entro l’estate del 2022. Nel frattempo, però, i Verdi europei hanno lanciato una petizione per non far ratificare l’accordo.
Eco-sistemi al ribasso – La soluzione su cui ci si è accordati per le pratiche agricole ecologiche, infatti, si avvicina (ma è meno ambiziosa) alla proposta della presidenza portoghese del Consiglio Ue di una riserva ‘verde’ per gli aiuti diretti al 22% nel 2023 e 2024 e del 25% dal 2025. Siamo sui 49 miliardi in 5 anni, ma gli Stati membri potranno restare anche al di sotto della percentuale del 20% per gli eco-schemi, qualora dimostrino di compensare con maggiori interventi nel secondo pilastro (sviluppo rurale) in favore di clima e ambiente. D’altronde già a fine maggio, quando il negoziato si è interrotto, il Consiglio aveva proposto di ridurre la percentuale minima dedicata a queste misure al 18% del budget del primo pilastro.
Il paradosso – Ma questa possibilità di ‘travaso’ di risorse tra un pilastro e l’altro, può portare a un paradosso, facendo calare l’ambizione. La quota di investimenti a favore di clima e ambiente del secondo pilastro, infatti, è fissata al 35%, ma già oggi la media per quel tipo di interventi è al 43%. In pratica, con il travaso, lo stato membro può ridurre l’allocazione in ecoschemi a favore di misure green del secondo pilastro, rimanendo comunque sotto la media europea per questi interventi. Il Consiglio, inoltre, è riuscito a strappare condizioni più flessibili (quindi meno ambiziose) sulle Good agricultural and environmental conditions, ossia gli standard delle buone condizioni agronomiche e ambientali, dalla manutenzione dei suoli non produttivi, alla protezione e gestione delle acque. C’è da chiedersi cosa ne penseranno i giudici della Corte dei Conti Ue che, pochi giorni fa hanno pubblicato l’analisi sulla Pac 2014-2020, secondo cui i 100 miliardi di euro destinati all’azione climatica in agricoltura non hanno contribuito a ridurre le emissioni. Tanto che quelle legate all’allevamento sono calate, mentre quelle dovute all’utilizzo di fertilizzanti chimici e concimi sono persino aumentate.
Confermato lo status quo – La nuova Pac è ancora basata sulla logica delle sovvenzioni erogate in base agli ettari di produzione. La coalizione ‘Cambiamo agricoltura’ aveva pubblicato il manifesto ‘Un’altra PAC è possibile’, segnalando il rischio che si confermasse l’attuale situazione con “l’80% dei sussidi destinati al 20% delle aziende agricole più grandi”. Per quanto riguarda il primo pilastro (i pagamenti diretti), il testo licenziato dal Parlamento a ottobre 2020 prevedeva che almeno il 60% delle risorse andassero a pagamenti settoriali e misure di sostegno al reddito, che non rispondessero a criteri ambientali. Di fatto non ci saranno correttivi degni di nota, ma la percentuale del 60% potrebbe persino aumentare, proprio per i meccanismi di compensazione.
Nessun capping, ma la ridristibuzione del 10% del budget ai più piccoli – Sul fronte del capping obbligatorio, il tetto massimo all’importo di cui le aziende di maggiori dimensioni possono beneficiare, ha avuto la meglio il Consiglio Ue. Il Parlamento proponeva di fissarlo a 100mila euro, con regressività a partire da 60mila euro, ma non ci sarà alcun limite ai sussidi per le grandi aziende, anche se è previsto un obbligo del 10% del budget dedicato a pagamenti diretti che dovrà essere redistribuito tra le aziende più piccole. Anche in questo caso, però, con deroghe per gli Stati membri, che possono dimostrare di aver soddisfatto i bisogni redistributivi attraverso altre misure. Peccato che secondo la Commissione Ue, una redistribuzione efficace avrebbe dovuto dedicare almeno il 12% a queste aziende. “Si tratta della chiusura di una trattativa serrata che abbiamo condotto sul dossier forse più delicato e che sancisce la nascita di un terzo pilastro della Pac, perché accanto alla dimensione economica e ambientale la nuova Politica agricola prevederà anche quella della condizionalità sociale, con il rafforzamento dei diritti dei lavoratori” ha commentato l’ex ministro Paolo De Castro, coordinatore del Gruppo S&D alla commissione Agricoltura del Parlamento europeo.
La condizionalità sociale – E, in effetti, altro elemento di scontro con il Consiglio era stato quello della condizionalità sociale, cioè la riduzione degli aiuti in violazione dei diritti dei lavoratori. Contro Germania e i Paesi del Nord Europa. L’Italia, invece, seguita da Francia e Spagna era a favore di un compromesso che tenesse in considerazione i diritti dei lavoratori e degli agricoltori. Di fatto si è arrivati, anche qui, a un accordo: dal 2023 al 2025 l’applicazione della condizionalità sociale sarà solo volontaria. Nell’attesa che diventi, dal 2025, obbligatoria per tutti, la Commissione Ue monitorerà l’impatto della misura nei vari Paesi dove sarà stata già applicata, per apportare eventuali correttivi.
Le reazioni – E se per l’europarlamentare sudtirolese Herbert Dorfmann (Partito Popolare Europeo) “il primo compromesso sulla riforma della Pac, raggiunto nella notte, porterà a una distribuzione degli aiuti più equa e terrà conto della dimensione sociale” con le aziende più grandi che “riceveranno il 10 per cento di fondi in meno, che sarà distribuito a quelle più piccole”, per Eleonora Evi, europarlamentare di Europa Verde “l’accordo raggiunto dalle istituzioni europee rappresenta uno schiaffo alle ambizioni ambientali e climatiche dell’Ue, slegando un terzo del bilancio UE dal rispetto degli obiettivi del Green deal europeo e un assegno, pressoché in bianco, alla lobby dell’agribusiness”. Secondo la Evi “questo accordo conferma il disastroso status quo in cui grandi aziende agricole che praticano un modello di agricoltura industriale insostenibile ricevendo la maggior parte dei sussidi PAC, a discapito dei piccoli agricoltori che, lasciati con le briciole, continuano a sparire a vista d’occhio”. Marco Contiero di Greenpeace Europa invita a gli eurodeputati a votare contro questa Pac: “I leader dell’Ue cercheranno di vendere la riforma come un successo ambientale, ma non ci facciamo ingannare dal greenwashing”.