A trent’anni dall’indipendenza politica, la Slovenia sportiva vive oggi un’età dell’oro. Sergio Tavčar, mitologico giornalista di Tele Capodistria oggi in pensione, abita a pochi chilometri dal confine. È italiano di passaporto ma culturalmente ed emotivamente si definisce sloveno. Nel suo avanti e indietro da un Paese all’altro ha vissuto in prima persona quei giorni in cui Lubiana, in anticipo sulle altre repubbliche jugoslave, ha deciso di staccarsi da Belgrado. Al fattoquotidiano.it racconta quel periodo e quel che oggi sta succedendo di bello nello sport sloveno.
25 giugno 1991, la Slovenia dichiara la propria indipendenza dalla Jugoslavia.
Ricordo perfettamente quel giorno. Tornai a casa dal lavoro e seguii tutto con grande commozione in tv. A Lubiana ci fu l’ammaina-bandiera jugoslava e dopo aver issato quella slovena, il presidente Milan Kučan pronunciò parole rimaste nella storia: “Oggi i sogni sono ammessi, domani è un nuovo giorno”. Tutti sapevano che sarebbe arrivato l’esercito jugoslavo. Io l’indomani partii regolarmente per andare in redazione a Capodistria. “Che ci fai qui?”, disse il mio capo. Tornai immediatamente a casa, appena in tempo, e mi misi davanti alla tv 24 ore su 24 senza più tornare in ufficio per tutti i giorni della guerra. Di sportivo da commentare non c’era più nulla, ovviamente.
La guerra tra Slovenia e Jugoslavia durò 10 giorni.
Gli sloveni vennero sottovalutati dai serbi e si fecero invece trovare preparati. Minarono le caserme dall’esterno, interruppero le comunicazioni da un carrarmato jugoslavo all’altro, tagliarono luce, acqua e gas. Oltre alla parte slovena dell’esercito jugoslavo, anche quella non serba non era particolarmente motivata a combattere. Poi bisogna dire che per i serbi la Slovenia non era l’obiettivo principale. Dopo dieci giorni si concluse la guerra e io tornai al lavoro. Quando al confine vidi la bandiera slovena mi misi a piangere per la commozione.
Trent’anni dopo la Slovenia sta vivendo un momento senza precedenti nello sport.
Vedere l’anno scorso, al Tour de France, due sloveni lottare per la maglia gialla mi è sembrato quasi surreale. Uno, Primož Roglič è nato a Trbovlje, nel “Galles sloveno”, ha anche lui antenati minatori. L’altro, Tadej Pogačar, è nato in una cittadina vicino Lubiana. Il fratello maggiore venne scoperto nelle scuole, il suo test dimostrava quanto fosse portato per il ciclismo. Lui accettò l’invito a correre, ma disse: “Dovete prendere anche il mio fratellino perché in bici mi batte sempre”. Il ciclismo comunque, da noi è sempre stato popolare. Ma due campioni così non c’erano mai stati.
E il basket?
Luka Dončić a parte, non è un gran periodo per la pallacanestro. Luka è figlio d’arte, il papà è stato un ottimo giocatore; ma nei movimenti ha preso soprattutto dalla mamma, ballerina di Lubiana. Il padre è nato su suolo sloveno in una caserma, perché il nonno di Luka era un ufficiale dell’esercito jugoslavo.
La Nazionale di calcio invece non ce l’ha fatta a qualificarsi a questi Europei.
Ha perso 2-0 con la Macedonia, sennò sarebbe andata almeno agli spareggi. Di sicuro avrebbe potuto fare di più, con un centrocampo con Ilic, Zajc e Kurtic e portieri come Oblak, Handanovic e Belec della Salernitana. Ma forse si sono un po’ imborghesiti.
Poi ci sono gli altri sport.
Gli sloveni amano gli sport di fatica. Dal canottaggio sono arrivate le prime medaglie olimpiche della storia, a Barcellona nel 1992 nel Due senza e nel Quattro con. Un oro dovrebbe arrivare a Tokyo con Janja Garnbret nell’arrampicata sportiva. La pallamano è molto forte, ci sono tre sloveni nel Barcellona che ha vinto l’ultima Coppa dei Campioni, negli ultimi Europei di pallavolo e basket la finale è stata la stessa, Serbia-Slovenia. Con i Los Angeles Kings gioca un campione di hockey su ghiaccio come Anze Kopitar. Non male per un Paese con poco più di due milioni di abitanti.
Ma qual è, tra questi, lo sport nazionale?
Nessuno, perché lo sport nazionale rimane il salto con gli sci. Non esiste un paesello in collina che non abbia un trampolino. I bambini sloveni si divertono da sempre così.
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Sergio Tavčar, il cronista racconta il momento d’oro dello sport sloveno: “Trent’anni fa vidi la bandiera e piansi. Oggi cresciamo campioni”
Nel suo avanti e indietro da una parte all'altra del confine, il giornalista di Tele Capodistria ha vissuto in prima persona i giorni in cui Lubiana ha deciso di staccarsi da Belgrado. Oggi celebra i successi sportivi del Paese: "Vedere l’anno scorso, al Tour de France, due sloveni lottare per la maglia gialla mi è sembrato quasi surreale. Amiamo gli sport di fatica, ma nulla batte il salto con gli sci"
A trent’anni dall’indipendenza politica, la Slovenia sportiva vive oggi un’età dell’oro. Sergio Tavčar, mitologico giornalista di Tele Capodistria oggi in pensione, abita a pochi chilometri dal confine. È italiano di passaporto ma culturalmente ed emotivamente si definisce sloveno. Nel suo avanti e indietro da un Paese all’altro ha vissuto in prima persona quei giorni in cui Lubiana, in anticipo sulle altre repubbliche jugoslave, ha deciso di staccarsi da Belgrado. Al fattoquotidiano.it racconta quel periodo e quel che oggi sta succedendo di bello nello sport sloveno.
25 giugno 1991, la Slovenia dichiara la propria indipendenza dalla Jugoslavia.
Ricordo perfettamente quel giorno. Tornai a casa dal lavoro e seguii tutto con grande commozione in tv. A Lubiana ci fu l’ammaina-bandiera jugoslava e dopo aver issato quella slovena, il presidente Milan Kučan pronunciò parole rimaste nella storia: “Oggi i sogni sono ammessi, domani è un nuovo giorno”. Tutti sapevano che sarebbe arrivato l’esercito jugoslavo. Io l’indomani partii regolarmente per andare in redazione a Capodistria. “Che ci fai qui?”, disse il mio capo. Tornai immediatamente a casa, appena in tempo, e mi misi davanti alla tv 24 ore su 24 senza più tornare in ufficio per tutti i giorni della guerra. Di sportivo da commentare non c’era più nulla, ovviamente.
La guerra tra Slovenia e Jugoslavia durò 10 giorni.
Gli sloveni vennero sottovalutati dai serbi e si fecero invece trovare preparati. Minarono le caserme dall’esterno, interruppero le comunicazioni da un carrarmato jugoslavo all’altro, tagliarono luce, acqua e gas. Oltre alla parte slovena dell’esercito jugoslavo, anche quella non serba non era particolarmente motivata a combattere. Poi bisogna dire che per i serbi la Slovenia non era l’obiettivo principale. Dopo dieci giorni si concluse la guerra e io tornai al lavoro. Quando al confine vidi la bandiera slovena mi misi a piangere per la commozione.
Trent’anni dopo la Slovenia sta vivendo un momento senza precedenti nello sport.
Vedere l’anno scorso, al Tour de France, due sloveni lottare per la maglia gialla mi è sembrato quasi surreale. Uno, Primož Roglič è nato a Trbovlje, nel “Galles sloveno”, ha anche lui antenati minatori. L’altro, Tadej Pogačar, è nato in una cittadina vicino Lubiana. Il fratello maggiore venne scoperto nelle scuole, il suo test dimostrava quanto fosse portato per il ciclismo. Lui accettò l’invito a correre, ma disse: “Dovete prendere anche il mio fratellino perché in bici mi batte sempre”. Il ciclismo comunque, da noi è sempre stato popolare. Ma due campioni così non c’erano mai stati.
E il basket?
Luka Dončić a parte, non è un gran periodo per la pallacanestro. Luka è figlio d’arte, il papà è stato un ottimo giocatore; ma nei movimenti ha preso soprattutto dalla mamma, ballerina di Lubiana. Il padre è nato su suolo sloveno in una caserma, perché il nonno di Luka era un ufficiale dell’esercito jugoslavo.
La Nazionale di calcio invece non ce l’ha fatta a qualificarsi a questi Europei.
Ha perso 2-0 con la Macedonia, sennò sarebbe andata almeno agli spareggi. Di sicuro avrebbe potuto fare di più, con un centrocampo con Ilic, Zajc e Kurtic e portieri come Oblak, Handanovic e Belec della Salernitana. Ma forse si sono un po’ imborghesiti.
Poi ci sono gli altri sport.
Gli sloveni amano gli sport di fatica. Dal canottaggio sono arrivate le prime medaglie olimpiche della storia, a Barcellona nel 1992 nel Due senza e nel Quattro con. Un oro dovrebbe arrivare a Tokyo con Janja Garnbret nell’arrampicata sportiva. La pallamano è molto forte, ci sono tre sloveni nel Barcellona che ha vinto l’ultima Coppa dei Campioni, negli ultimi Europei di pallavolo e basket la finale è stata la stessa, Serbia-Slovenia. Con i Los Angeles Kings gioca un campione di hockey su ghiaccio come Anze Kopitar. Non male per un Paese con poco più di due milioni di abitanti.
Ma qual è, tra questi, lo sport nazionale?
Nessuno, perché lo sport nazionale rimane il salto con gli sci. Non esiste un paesello in collina che non abbia un trampolino. I bambini sloveni si divertono da sempre così.
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Roma, 20 dic. (Adnkronos) - "Non aspettavo alcuna sentenza e nessun tribunale per giudicare Matteo Salvini. Io l’ho condannato moralmente e politicamente, senza alcun appello, già da tempo. Non serve una sentenza". Lo dice Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera.
"In più, non ho mai usato, come invece spesso ha fatto lui, la spregevole frase 'in galera e buttare la chiave'. Per questo mi fa piacere che Salvini si stato assolto. Le sue idee barbare sull’immigrazione vanno sconfitte con le elezioni, auspicare scorciatoie giudiziarie è altrettanto barbaro", conclude.
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