Di pragmatismo opposto al bel gioco si è discusso spesso negli ultimi anni, con “guardiolismo” e “cholismo” in particolare a separare truppe di calciofili pronte a difendere (o ad attaccare, giusto per restare neutrali) l’una o l’altra filosofia di gioco. C’è stato un momento, però, in cui forse anche il più acceso “cholista” sostenitore del pragmatismo si sarebbe coperto gli occhi: erano i giorni in cui “una lacrima scese sul volto del bel gioco”. La frase viene da un titolo del Telegraph, velenoso, per sminuire la vittoria della Grecia agli Europei del 2004: l’impresa probabilmente più clamorosa della storia in una competizione calcistica per nazioni.

Per carità: parlare a un greco di gioco inguardabile, mentre ancora oggi a distanza di 17 anni festeggia il 4 luglio come una festa nazionale quasi quanto un americano, avrebbe come risultato una sonora risata in faccia e un bicchiere di ouzo per brindare ancora all’impresa. Giustamente. Perché nel 2004 la Grecia calcistica era come una utilitaria anonima messa nel garage di uno sceicco: passava completamente inosservata. Era inevitabile, vista la parata di stelle in Portogallo: i padroni di casa con Figo, Rui Costa, Deco e Cristiano Ronaldo 19enne, l’Italia con Totti, Cassano, Vieri, Buffon, Del Piero e Pirlo, l’Inghilterra di Rooney, Lampard, Beckham e Gerrard, la Francia con Zidane, Henry, Trezeguet e Thuram, l’Olanda di Van Nistelrooy, la Germania di Ballack, persino la Repubblica Ceca con Nedved, Rosicky e Baros rappresentava una forza calcistica non indifferente.

Dunque, per la formazione guidata da Otto Rehhagel, nonostante il primo posto nel girone di qualificazione, c’era pochissima considerazione. Una rosa con qualche panchinaro nei maggiori campionati europei, come Dellas alla Roma, Vryzas alla Fiorentina e Karagounis all’Inter. Il resto militante nella Souper Ligka Ellade: una nazionale modesta, peraltro con alle spalle l’ultima partecipazione a una manifestazione calcistica internazionale, i mondiali del 1994, ben poco edificante con 3 sconfitte, 0 gol fatti e 10 subiti. Una di quelle squadre da salutare presto visto anche il girone di ferro (Spagna, Portogallo e Russia le avversarie). Idea, quella di godersi la partecipazione a Euro 2004 e tornare a casa in pochi giorni, condivisa dagli stessi greci: basti pensare alle nozze di Fyssas, difensore ellenico, previste per il 9 luglio, 4 giorni dopo la finale. Naturalmente senza il minimo pensiero di giocarla, quella finale.

L’obiettivo, dichiarato da Rehhagel, è fare una vittoria: un risultato storico visto che nelle uniche due partecipazioni a manifestazioni internazionali la nazionale ellenica era riuscita massimo a pareggiare una gara, agli Europei del 1980 in Italia. A Dellas e ai suoi tocca la gara d’apertura coi padroni di casa e a sorpresa dopo 6 minuti si ritrovano in vantaggio: Karagounis da fuori trova un rasoterra a fil di palo che Ricardo sfiora soltanto. Il Portogallo prova a riprendersi ma la squadra di Rehhagel è di quelle bruttissime da affrontare: Seitaridis da terzino destro è una rivelazione, la difesa con i due colossi Kapsis e Dellas molto solida, il centrocampo con Zagorakis, Katsouranis e il regista Basinas è in grado di rompere il gioco e far ripartire Karagounis e le due punte Vryzas e Charisteas. Proprio da una ripartenza i greci conquistano il rigore che li porta sul 2 a 0, trasformato da Basinas: il gol del Portogallo arriva tardi – al 93esimo con Cristiano Ronaldo – e così l’obiettivo massimo è già conquistato all’esordio.

Un caso? Sembrerebbe di sì quando nel secondo match contro la Spagna, Raul e Morientes si bevono la difesa ellenica portando le furie rosse in vantaggio. Sembrerebbe di no quando dopo non aver concesso più spazi agli iberici un lancio pesca Charisteas in mezzo all’area a far secco Casillas. Con 4 punti il destino è nelle mani dei greci, ma l’emozione li tradisce: la Russia già eliminata vince 2 a 1. La vittoria di misura del Portogallo sulla Spagna però regala comunque la qualificazione al gruppo di Rehhagel. Ma ai quarti c’è la Francia di Zidane: il ct la butta sulla mitologia, scherzando sulla missione impossibile e citando l’Iliade, auspicando di avere Achille tra i suoi per battere la Francia. Angelos Charisteas avrà forse avuto le sembianze del pelide alzandosi in volo e battendo Barthez: certo, oltre al gol, fondamentale è la chiusura a riccio e la difesa colpo su colpo dei suoi compagni che neutralizzano tutti gli attacchi di Henry e Zidane.

Un miracolo: coi greci in patria che si uniscono e sognano, trattando Rehhagel come re mitologico, giocando sul suo nome e scendendo in piazza per i loro eroi. Sarà ancora un’inzuccata di testa, stavolta di Traianos Dellas ai supplementari, a far vincere ai greci anche la semifinale contro la Repubblica Ceca. In finale ancora il Portogallo, alla vigilia i lusitani giurano: “Non capiterà ciò che è capitato all’andata”. Ma quella squadraccia tignosa e brutta, che alza palizzate in area e spera in un calcio di punizione di Basinas o in un calcio d’angolo per provare a far male, ormai non vuol fermarsi.

La finale è al solito bruttissima, al solito il muro ellenico non fa passare nulla, al solito Basinas pesca Charisteas da calcio d’angolo, il salto in testa a Costinha vale l‘1 a 0, che per la Grecia di Rehhagel è come una sentenza. Incredibilmente, alza quella coppa. I giornali inglesi parlano di lacrime sul volto del bel gioco, Rehhagel se la ride rispondendo “datemi Xavi o Messi e faccio giocare la squadra, datemi Kapsis, Katsouranis e Dellas e faccio catenaccio”. E vinco, è il non detto abbastanza eloquente di quel mister con la faccia paciosa e l’impresa facile, dalla Bundesliga vinta col Kaiserslautern neopromosso alla Coppa di Germania col Fortuna Düsseldorf: giocando male, sì, e facendo piangere il bel gioco. Tanto, nel calcio, l’importante è che piangano gli altri.

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