Limita la libertà di pensiero? Falso. E’ inutile perché in Italia la violenza è già punita? Falso. Costringe le scuole ad organizzare attività per la giornata contro l’omotransfobia? Falso. Sono mesi ormai che sentiamo parlare del disegno di legge Zan e, nonostante sul tema siano intervenuti praticamente tutti e (quasi) tutti abbiano chiesto modifiche, c’è ancora molta confusione sull’effettivo contenuto del provvedimento. Martedì nel dibattito è piombato il Vaticano che, impugnando il Concordato, ha chiesto modifiche al provvedimento: la notizia, che ricorda l’interventismo dei tempi del referendum sul divorzio, ha provocato molte polemiche e, in Parlamento, si è schierato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi ribadendo che l’Italia “è uno Stato laico“. Questo però non ha cambiato le sorti della legge che al momento è bloccata in commissione Giustizia: il centrodestra vuole modifiche e l’asse giallorosso chiede l’approvazione senza rivedere il testo. Il problema ora sono i voti che potrebbero mancare al via libera definitivo (con i renziani ancora una volta possibile ago della bilancia) e i tempi strettissimi prima della fine della legislatura. Ma vediamo cosa c’è davvero nel provvedimento e su cosa si dividono i partiti (e la Chiesa).
Il contenuto della legge – Il ddl Zan ha avuto un primo via libera alla Camera nel novembre scorso e da mesi aspetta di concludere il suo iter a Palazzo Madama. A volerla dire tutta, l’attesa per una legge contro l’omotransfobia è ancora più lunga se si considera che il primo ddl in materia venne presentato nel 1996. Questa legislatura sembrava che l’accordo fosse praticamente fatto, ma nel giro di pochi mesi è cambiato tutto: il governo Conte 2 è caduto ed è cambiata la maggioranza, portando il centrodestra al governo (tranne Fdi). Il testo approvato a Montecitorio è una sintesi di vari disegni di legge di Pd, M5s, Leu e addirittura Forza Italia. Il contenuto è molto semplice: modifica la legge Mancino che punisce i crimini di odio e di incitamento all’odio per “per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” e la estende alle discriminazioni basate anche a motivi fondati su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità“. Questa estensione che, va precisato, non riguarda il reato di propaganda, ma solo “chi incita o commette” atti di discriminazione, viene contestata sotto molti punti di vista. Tra le altre cose, ad esempio, quasi tutte le destre, gli ultra cattolici e le femministe trans-escludenti si oppongono all’introduzione della dicitura “identità di genere”, concetto che supera il binarismo di genere e permette di difendere le persone trans (come già nella maggior parte dei Paesi Ue e come l’Unione europea ci chiede di fare dal 2010).
La libertà d’espressione è a rischio? Falso – È la principale argomentazione di chi si oppone alla legge: se passa il ddl Zan non sarà più possibile esprimere liberamente le proprie opinioni. Un’obiezione debole perché la legge appunto non punisce la “propaganda”, ma solo chi istiga a commettere o commette atti di violenza o discriminazioni. Ovvero, come dimostra la giurisprudenza, non bastano le dichiarazioni, ma ci devono essere esternazioni che portano a un’azione discriminatoria o di violenza.
Nonostante tutto questo, per tutelare al massimo la libertà d’espressione, nel passaggio alla Camera, al testo è stata aggiunta una clausola definita “salva idee“. L’articolo 4 del ddl recita infatti: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Proprio l’inserimento della dicitura “concreto pericolo“, aiuta a chiarire quando subentra la discriminazione o l’atto di violenza.
Il primo firmatario della legge, il deputato Alessandro Zan, lo ha ripetuto in questi giorni al Corriere della Sera: “Applichiamo una legge consolidata nel nostro ordinamento e collaudata da sentenze della Corte Costituzionale. Nella Legge Mancino si parla di istigazione all’odio. Dire ‘sono contro i matrimoni gay’ è un’opinione, non la condivido ma è un’opinione. Dire su una pubblica piazza o nei social ‘se avessi un figlio gay lo brucerei nei forni’ non è più un’opinione, ma istigazione alla violenza e all’odio. Quando c’è un pericolo per l’altro non è opinione. Per fare una legge contro l’omotransfobia ne abbiamo presa una che esiste già, ma la estendiamo ad altri gruppi sociali”. Ovvero, a differenza di quello che dicono gli oppositori, non si crea un nuovo tipo reato d’opinione, ma si estendono le fattispecie di una legge già esistente che punisce l’incitamento all’odio, alla violenza e la discriminazione. E se, come viene sostenuto, il ddl Zan limita la libertà d’espressione, allora andrebbe rivista anche la legge Mancino là dove punisce i crimini d’odio basati su razza, etnia e religione.
C’è allora chi obietta ancora che la distinzione tra discriminazione e semplice opinione sarebbe, se passasse la legge, sempre affidata a un giudice perché la legge non definisce con precisione gli atti di discriminazione. L’ultimo ad averlo affermato è stato il cardinale Pietro Parolin: “Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago”, ha detto in questi giorni. “In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate”. Ma questa argomentazione è smentita dalla giurisprudenza, come ha ricordato a tal proposito il Servizio studi del Senato ricordando, nell’analisi dedicata al ddl Zan, la sentenza della Cassazione (Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655). Questa afferma che il reato di istigazione a compiere atti di discriminazione non si pone in contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito nell’art. 21 Cost., in quanto “l’incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta, quanto meno intesa come comportamento generale, e realizza un quid pluris rispetto ad una manifestazione di opinioni, ragionamenti o convincimenti personali”. Tradotto: un prete dal pulpito o un cattolico in una manifestazione potranno continuare a difendere quella che è per loro la famiglia tradizionale e criticare i matrimoni gay. Diverso è se incitano alla violenza contro i gay o se decidono di aggredire una persona omosessuale.
Il ddl Zan è inutile perché la violenza è già punita? Falso – In Italia non vengono punite le aggressioni per motivi omotransfobici. Nella maggior parte dei casi, quando viene commesso questo tipo di violenza, si può applicare (ma non è obbligatorio) “l’aggravante per motivi abietti e futili” (articolo 61 del codice penale) che fa riferimento a “impulsi psichici che inducono il soggetto a tenere una determinata condotta e che si caratterizzano per essere spregevoli, malvagi (abbietti) oppure del tutto sproporzionati rispetto all’azione delittuosa commessa”. Ma, secondo le associazioni che difendono le persone lgbt, non riconoscere la matrice omotransfobica dell’aggressione e limitarsi a parlare di “sporporzione“è proprio la radice del problema. Colpire infatti una persona omosessuale per il suo orientamento sessuale, è un crimine d’odio che riguarda di fatto un’intera comunità che da quel momento sarà più spaventata. Proprio come nei casi di razzismo. E l’emergenza esiste: come ricordato da Rete Lenford a ilfattoquotidiano.it, stando ai dati dell’Osservatorio della Polizia contro le discriminazioni si parla di “un reato ogni quattro giorni contro persone della comunità Lgbtqi”.
Il ddl Zan impone alle scuole di celebrare la giornata contro l’omotransfobia e diffondere la “dottrina del gender”? Falso – La legge contro l’omotransfobia non si limita a prevedere sanzioni, ma si concentra anche su prevenzione ed educazione contro la violenza. Per questo, all’articolo 7, si prevede l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per il 17 maggio: è una ricorrenza che nel mondo è celebrata già dal 2004 e ricorda quando l’Oms tolse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (era il 1990). Una giornata che già di fatto nel nostro Paese, uno degli ultimi a non averla riconosciuta ufficialmente, viene celebrata (un mese fa ne hanno parlato il presidente della Repubblica e il presidente della Camera), e la sua ufficializzazione permetterebbe di avere una chiara condanna delle violenze da parte dello Stato.
L’opera di sensibilizzazione è rivolta anche alle scuole, che vengono citate nella legge, ma non c’è nessuna imposizione e per questo l’esenzione richiesta dagli istituti cattolici non è necessaria: “In Aula alla Camera, proprio per venire incontro alle preoccupazioni di parte del mondo cattolico”, ha detto sempre Zan nei giorni scorsi, “è stato precisato che le iniziative dovranno essere coerenti con il piano triennale dell’offerta formativa e con il patto di corresponsabilità educativa tra scuole e famiglie”. E quindi “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Questo significa che, come già avviene in occasione di tante altre giornate nazionali (dall’Olocausto alle vittime di mafia), senza l’accordo di genitori, insegnanti e istituti non sarà organizzata alcuna attività. Inoltre le iniziative sono pensate, si legge nel dddl “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze”. Quindi l’obiettivo è la prevenzione di bullismo e violenza, non certo la propaganda, come invece sostengono molti degli oppositori.
Diritti
Ddl Zan, dalla libertà di pensiero punita alle imposizioni per le scuole: tutte le fake news che partiti e detrattori continuano a ripetere
Cosa c'è davvero nel provvedimento bloccato al Senato e che dal 1996 il Parlamento cerca di approvare. Dalla presunta minaccia alla libertà di espressione (ma confondendo manifestazione del pensiero e istigazione all'odio), allo sbandierato "obbligo" per gli istituti di ogni ordine e grado a fare propaganda: anche in questo caso non è così. E ancora: non serve una legge perché la violenza è già punita? Ecco perché non è così
Limita la libertà di pensiero? Falso. E’ inutile perché in Italia la violenza è già punita? Falso. Costringe le scuole ad organizzare attività per la giornata contro l’omotransfobia? Falso. Sono mesi ormai che sentiamo parlare del disegno di legge Zan e, nonostante sul tema siano intervenuti praticamente tutti e (quasi) tutti abbiano chiesto modifiche, c’è ancora molta confusione sull’effettivo contenuto del provvedimento. Martedì nel dibattito è piombato il Vaticano che, impugnando il Concordato, ha chiesto modifiche al provvedimento: la notizia, che ricorda l’interventismo dei tempi del referendum sul divorzio, ha provocato molte polemiche e, in Parlamento, si è schierato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi ribadendo che l’Italia “è uno Stato laico“. Questo però non ha cambiato le sorti della legge che al momento è bloccata in commissione Giustizia: il centrodestra vuole modifiche e l’asse giallorosso chiede l’approvazione senza rivedere il testo. Il problema ora sono i voti che potrebbero mancare al via libera definitivo (con i renziani ancora una volta possibile ago della bilancia) e i tempi strettissimi prima della fine della legislatura. Ma vediamo cosa c’è davvero nel provvedimento e su cosa si dividono i partiti (e la Chiesa).
Il contenuto della legge – Il ddl Zan ha avuto un primo via libera alla Camera nel novembre scorso e da mesi aspetta di concludere il suo iter a Palazzo Madama. A volerla dire tutta, l’attesa per una legge contro l’omotransfobia è ancora più lunga se si considera che il primo ddl in materia venne presentato nel 1996. Questa legislatura sembrava che l’accordo fosse praticamente fatto, ma nel giro di pochi mesi è cambiato tutto: il governo Conte 2 è caduto ed è cambiata la maggioranza, portando il centrodestra al governo (tranne Fdi). Il testo approvato a Montecitorio è una sintesi di vari disegni di legge di Pd, M5s, Leu e addirittura Forza Italia. Il contenuto è molto semplice: modifica la legge Mancino che punisce i crimini di odio e di incitamento all’odio per “per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” e la estende alle discriminazioni basate anche a motivi fondati su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità“. Questa estensione che, va precisato, non riguarda il reato di propaganda, ma solo “chi incita o commette” atti di discriminazione, viene contestata sotto molti punti di vista. Tra le altre cose, ad esempio, quasi tutte le destre, gli ultra cattolici e le femministe trans-escludenti si oppongono all’introduzione della dicitura “identità di genere”, concetto che supera il binarismo di genere e permette di difendere le persone trans (come già nella maggior parte dei Paesi Ue e come l’Unione europea ci chiede di fare dal 2010).
La libertà d’espressione è a rischio? Falso – È la principale argomentazione di chi si oppone alla legge: se passa il ddl Zan non sarà più possibile esprimere liberamente le proprie opinioni. Un’obiezione debole perché la legge appunto non punisce la “propaganda”, ma solo chi istiga a commettere o commette atti di violenza o discriminazioni. Ovvero, come dimostra la giurisprudenza, non bastano le dichiarazioni, ma ci devono essere esternazioni che portano a un’azione discriminatoria o di violenza.
Nonostante tutto questo, per tutelare al massimo la libertà d’espressione, nel passaggio alla Camera, al testo è stata aggiunta una clausola definita “salva idee“. L’articolo 4 del ddl recita infatti: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Proprio l’inserimento della dicitura “concreto pericolo“, aiuta a chiarire quando subentra la discriminazione o l’atto di violenza.
Il primo firmatario della legge, il deputato Alessandro Zan, lo ha ripetuto in questi giorni al Corriere della Sera: “Applichiamo una legge consolidata nel nostro ordinamento e collaudata da sentenze della Corte Costituzionale. Nella Legge Mancino si parla di istigazione all’odio. Dire ‘sono contro i matrimoni gay’ è un’opinione, non la condivido ma è un’opinione. Dire su una pubblica piazza o nei social ‘se avessi un figlio gay lo brucerei nei forni’ non è più un’opinione, ma istigazione alla violenza e all’odio. Quando c’è un pericolo per l’altro non è opinione. Per fare una legge contro l’omotransfobia ne abbiamo presa una che esiste già, ma la estendiamo ad altri gruppi sociali”. Ovvero, a differenza di quello che dicono gli oppositori, non si crea un nuovo tipo reato d’opinione, ma si estendono le fattispecie di una legge già esistente che punisce l’incitamento all’odio, alla violenza e la discriminazione. E se, come viene sostenuto, il ddl Zan limita la libertà d’espressione, allora andrebbe rivista anche la legge Mancino là dove punisce i crimini d’odio basati su razza, etnia e religione.
C’è allora chi obietta ancora che la distinzione tra discriminazione e semplice opinione sarebbe, se passasse la legge, sempre affidata a un giudice perché la legge non definisce con precisione gli atti di discriminazione. L’ultimo ad averlo affermato è stato il cardinale Pietro Parolin: “Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago”, ha detto in questi giorni. “In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate”. Ma questa argomentazione è smentita dalla giurisprudenza, come ha ricordato a tal proposito il Servizio studi del Senato ricordando, nell’analisi dedicata al ddl Zan, la sentenza della Cassazione (Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655). Questa afferma che il reato di istigazione a compiere atti di discriminazione non si pone in contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito nell’art. 21 Cost., in quanto “l’incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta, quanto meno intesa come comportamento generale, e realizza un quid pluris rispetto ad una manifestazione di opinioni, ragionamenti o convincimenti personali”. Tradotto: un prete dal pulpito o un cattolico in una manifestazione potranno continuare a difendere quella che è per loro la famiglia tradizionale e criticare i matrimoni gay. Diverso è se incitano alla violenza contro i gay o se decidono di aggredire una persona omosessuale.
Il ddl Zan è inutile perché la violenza è già punita? Falso – In Italia non vengono punite le aggressioni per motivi omotransfobici. Nella maggior parte dei casi, quando viene commesso questo tipo di violenza, si può applicare (ma non è obbligatorio) “l’aggravante per motivi abietti e futili” (articolo 61 del codice penale) che fa riferimento a “impulsi psichici che inducono il soggetto a tenere una determinata condotta e che si caratterizzano per essere spregevoli, malvagi (abbietti) oppure del tutto sproporzionati rispetto all’azione delittuosa commessa”. Ma, secondo le associazioni che difendono le persone lgbt, non riconoscere la matrice omotransfobica dell’aggressione e limitarsi a parlare di “sporporzione“è proprio la radice del problema. Colpire infatti una persona omosessuale per il suo orientamento sessuale, è un crimine d’odio che riguarda di fatto un’intera comunità che da quel momento sarà più spaventata. Proprio come nei casi di razzismo. E l’emergenza esiste: come ricordato da Rete Lenford a ilfattoquotidiano.it, stando ai dati dell’Osservatorio della Polizia contro le discriminazioni si parla di “un reato ogni quattro giorni contro persone della comunità Lgbtqi”.
Il ddl Zan impone alle scuole di celebrare la giornata contro l’omotransfobia e diffondere la “dottrina del gender”? Falso – La legge contro l’omotransfobia non si limita a prevedere sanzioni, ma si concentra anche su prevenzione ed educazione contro la violenza. Per questo, all’articolo 7, si prevede l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per il 17 maggio: è una ricorrenza che nel mondo è celebrata già dal 2004 e ricorda quando l’Oms tolse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (era il 1990). Una giornata che già di fatto nel nostro Paese, uno degli ultimi a non averla riconosciuta ufficialmente, viene celebrata (un mese fa ne hanno parlato il presidente della Repubblica e il presidente della Camera), e la sua ufficializzazione permetterebbe di avere una chiara condanna delle violenze da parte dello Stato.
L’opera di sensibilizzazione è rivolta anche alle scuole, che vengono citate nella legge, ma non c’è nessuna imposizione e per questo l’esenzione richiesta dagli istituti cattolici non è necessaria: “In Aula alla Camera, proprio per venire incontro alle preoccupazioni di parte del mondo cattolico”, ha detto sempre Zan nei giorni scorsi, “è stato precisato che le iniziative dovranno essere coerenti con il piano triennale dell’offerta formativa e con il patto di corresponsabilità educativa tra scuole e famiglie”. E quindi “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Questo significa che, come già avviene in occasione di tante altre giornate nazionali (dall’Olocausto alle vittime di mafia), senza l’accordo di genitori, insegnanti e istituti non sarà organizzata alcuna attività. Inoltre le iniziative sono pensate, si legge nel dddl “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze”. Quindi l’obiettivo è la prevenzione di bullismo e violenza, non certo la propaganda, come invece sostengono molti degli oppositori.
Articolo Precedente
Gay Pride 2021: da piazza Vittorio Emanuele a Roma all’Arco della Pace a Milano, ecco i principali appuntamenti del 26 giugno
Articolo Successivo
Pride 2021 a Milano e Roma: lo scontro col Vaticano negli slogan del corteo. Sala: “Da cattolico non ho imbarazzo sul ddl Zan”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Ucraina, Putin apre a una tregua: “Sì, se porterà a una pace duratura”. Trump: “Parole promettenti, mi piacerebbe incontrarlo”
Zonaeuro
Nuovo scandalo in Europa, in manette lobbisti di Huawei: “Hanno corrotto parlamentari”. Perquisiti gli uffici, sigilli a quello di un assistente di Falcone (Fi)
Politica
Intercettazioni, bocciati gli emendamenti per “salvare” i reati da codice rosso. Orrico (M5s): “Sono stata vittima. Così donne senza tutela”
Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.