Limita la libertà di pensiero? Falso. E’ inutile perché in Italia la violenza è già punita? Falso. Costringe le scuole ad organizzare attività per la giornata contro l’omotransfobia? Falso. Sono mesi ormai che sentiamo parlare del disegno di legge Zan e, nonostante sul tema siano intervenuti praticamente tutti e (quasi) tutti abbiano chiesto modifiche, c’è ancora molta confusione sull’effettivo contenuto del provvedimento. Martedì nel dibattito è piombato il Vaticano che, impugnando il Concordato, ha chiesto modifiche al provvedimento: la notizia, che ricorda l’interventismo dei tempi del referendum sul divorzio, ha provocato molte polemiche e, in Parlamento, si è schierato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi ribadendo che l’Italia “è uno Stato laico“. Questo però non ha cambiato le sorti della legge che al momento è bloccata in commissione Giustizia: il centrodestra vuole modifiche e l’asse giallorosso chiede l’approvazione senza rivedere il testo. Il problema ora sono i voti che potrebbero mancare al via libera definitivo (con i renziani ancora una volta possibile ago della bilancia) e i tempi strettissimi prima della fine della legislatura. Ma vediamo cosa c’è davvero nel provvedimento e su cosa si dividono i partiti (e la Chiesa).
Il contenuto della legge – Il ddl Zan ha avuto un primo via libera alla Camera nel novembre scorso e da mesi aspetta di concludere il suo iter a Palazzo Madama. A volerla dire tutta, l’attesa per una legge contro l’omotransfobia è ancora più lunga se si considera che il primo ddl in materia venne presentato nel 1996. Questa legislatura sembrava che l’accordo fosse praticamente fatto, ma nel giro di pochi mesi è cambiato tutto: il governo Conte 2 è caduto ed è cambiata la maggioranza, portando il centrodestra al governo (tranne Fdi). Il testo approvato a Montecitorio è una sintesi di vari disegni di legge di Pd, M5s, Leu e addirittura Forza Italia. Il contenuto è molto semplice: modifica la legge Mancino che punisce i crimini di odio e di incitamento all’odio per “per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” e la estende alle discriminazioni basate anche a motivi fondati su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità“. Questa estensione che, va precisato, non riguarda il reato di propaganda, ma solo “chi incita o commette” atti di discriminazione, viene contestata sotto molti punti di vista. Tra le altre cose, ad esempio, quasi tutte le destre, gli ultra cattolici e le femministe trans-escludenti si oppongono all’introduzione della dicitura “identità di genere”, concetto che supera il binarismo di genere e permette di difendere le persone trans (come già nella maggior parte dei Paesi Ue e come l’Unione europea ci chiede di fare dal 2010).
La libertà d’espressione è a rischio? Falso – È la principale argomentazione di chi si oppone alla legge: se passa il ddl Zan non sarà più possibile esprimere liberamente le proprie opinioni. Un’obiezione debole perché la legge appunto non punisce la “propaganda”, ma solo chi istiga a commettere o commette atti di violenza o discriminazioni. Ovvero, come dimostra la giurisprudenza, non bastano le dichiarazioni, ma ci devono essere esternazioni che portano a un’azione discriminatoria o di violenza.
Nonostante tutto questo, per tutelare al massimo la libertà d’espressione, nel passaggio alla Camera, al testo è stata aggiunta una clausola definita “salva idee“. L’articolo 4 del ddl recita infatti: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Proprio l’inserimento della dicitura “concreto pericolo“, aiuta a chiarire quando subentra la discriminazione o l’atto di violenza.
Il primo firmatario della legge, il deputato Alessandro Zan, lo ha ripetuto in questi giorni al Corriere della Sera: “Applichiamo una legge consolidata nel nostro ordinamento e collaudata da sentenze della Corte Costituzionale. Nella Legge Mancino si parla di istigazione all’odio. Dire ‘sono contro i matrimoni gay’ è un’opinione, non la condivido ma è un’opinione. Dire su una pubblica piazza o nei social ‘se avessi un figlio gay lo brucerei nei forni’ non è più un’opinione, ma istigazione alla violenza e all’odio. Quando c’è un pericolo per l’altro non è opinione. Per fare una legge contro l’omotransfobia ne abbiamo presa una che esiste già, ma la estendiamo ad altri gruppi sociali”. Ovvero, a differenza di quello che dicono gli oppositori, non si crea un nuovo tipo reato d’opinione, ma si estendono le fattispecie di una legge già esistente che punisce l’incitamento all’odio, alla violenza e la discriminazione. E se, come viene sostenuto, il ddl Zan limita la libertà d’espressione, allora andrebbe rivista anche la legge Mancino là dove punisce i crimini d’odio basati su razza, etnia e religione.
C’è allora chi obietta ancora che la distinzione tra discriminazione e semplice opinione sarebbe, se passasse la legge, sempre affidata a un giudice perché la legge non definisce con precisione gli atti di discriminazione. L’ultimo ad averlo affermato è stato il cardinale Pietro Parolin: “Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago”, ha detto in questi giorni. “In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate”. Ma questa argomentazione è smentita dalla giurisprudenza, come ha ricordato a tal proposito il Servizio studi del Senato ricordando, nell’analisi dedicata al ddl Zan, la sentenza della Cassazione (Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655). Questa afferma che il reato di istigazione a compiere atti di discriminazione non si pone in contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito nell’art. 21 Cost., in quanto “l’incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta, quanto meno intesa come comportamento generale, e realizza un quid pluris rispetto ad una manifestazione di opinioni, ragionamenti o convincimenti personali”. Tradotto: un prete dal pulpito o un cattolico in una manifestazione potranno continuare a difendere quella che è per loro la famiglia tradizionale e criticare i matrimoni gay. Diverso è se incitano alla violenza contro i gay o se decidono di aggredire una persona omosessuale.
Il ddl Zan è inutile perché la violenza è già punita? Falso – In Italia non vengono punite le aggressioni per motivi omotransfobici. Nella maggior parte dei casi, quando viene commesso questo tipo di violenza, si può applicare (ma non è obbligatorio) “l’aggravante per motivi abietti e futili” (articolo 61 del codice penale) che fa riferimento a “impulsi psichici che inducono il soggetto a tenere una determinata condotta e che si caratterizzano per essere spregevoli, malvagi (abbietti) oppure del tutto sproporzionati rispetto all’azione delittuosa commessa”. Ma, secondo le associazioni che difendono le persone lgbt, non riconoscere la matrice omotransfobica dell’aggressione e limitarsi a parlare di “sporporzione“è proprio la radice del problema. Colpire infatti una persona omosessuale per il suo orientamento sessuale, è un crimine d’odio che riguarda di fatto un’intera comunità che da quel momento sarà più spaventata. Proprio come nei casi di razzismo. E l’emergenza esiste: come ricordato da Rete Lenford a ilfattoquotidiano.it, stando ai dati dell’Osservatorio della Polizia contro le discriminazioni si parla di “un reato ogni quattro giorni contro persone della comunità Lgbtqi”.
Il ddl Zan impone alle scuole di celebrare la giornata contro l’omotransfobia e diffondere la “dottrina del gender”? Falso – La legge contro l’omotransfobia non si limita a prevedere sanzioni, ma si concentra anche su prevenzione ed educazione contro la violenza. Per questo, all’articolo 7, si prevede l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per il 17 maggio: è una ricorrenza che nel mondo è celebrata già dal 2004 e ricorda quando l’Oms tolse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (era il 1990). Una giornata che già di fatto nel nostro Paese, uno degli ultimi a non averla riconosciuta ufficialmente, viene celebrata (un mese fa ne hanno parlato il presidente della Repubblica e il presidente della Camera), e la sua ufficializzazione permetterebbe di avere una chiara condanna delle violenze da parte dello Stato.
L’opera di sensibilizzazione è rivolta anche alle scuole, che vengono citate nella legge, ma non c’è nessuna imposizione e per questo l’esenzione richiesta dagli istituti cattolici non è necessaria: “In Aula alla Camera, proprio per venire incontro alle preoccupazioni di parte del mondo cattolico”, ha detto sempre Zan nei giorni scorsi, “è stato precisato che le iniziative dovranno essere coerenti con il piano triennale dell’offerta formativa e con il patto di corresponsabilità educativa tra scuole e famiglie”. E quindi “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Questo significa che, come già avviene in occasione di tante altre giornate nazionali (dall’Olocausto alle vittime di mafia), senza l’accordo di genitori, insegnanti e istituti non sarà organizzata alcuna attività. Inoltre le iniziative sono pensate, si legge nel dddl “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze”. Quindi l’obiettivo è la prevenzione di bullismo e violenza, non certo la propaganda, come invece sostengono molti degli oppositori.
Diritti
Ddl Zan, dalla libertà di pensiero punita alle imposizioni per le scuole: tutte le fake news che partiti e detrattori continuano a ripetere
Cosa c'è davvero nel provvedimento bloccato al Senato e che dal 1996 il Parlamento cerca di approvare. Dalla presunta minaccia alla libertà di espressione (ma confondendo manifestazione del pensiero e istigazione all'odio), allo sbandierato "obbligo" per gli istituti di ogni ordine e grado a fare propaganda: anche in questo caso non è così. E ancora: non serve una legge perché la violenza è già punita? Ecco perché non è così
Limita la libertà di pensiero? Falso. E’ inutile perché in Italia la violenza è già punita? Falso. Costringe le scuole ad organizzare attività per la giornata contro l’omotransfobia? Falso. Sono mesi ormai che sentiamo parlare del disegno di legge Zan e, nonostante sul tema siano intervenuti praticamente tutti e (quasi) tutti abbiano chiesto modifiche, c’è ancora molta confusione sull’effettivo contenuto del provvedimento. Martedì nel dibattito è piombato il Vaticano che, impugnando il Concordato, ha chiesto modifiche al provvedimento: la notizia, che ricorda l’interventismo dei tempi del referendum sul divorzio, ha provocato molte polemiche e, in Parlamento, si è schierato lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi ribadendo che l’Italia “è uno Stato laico“. Questo però non ha cambiato le sorti della legge che al momento è bloccata in commissione Giustizia: il centrodestra vuole modifiche e l’asse giallorosso chiede l’approvazione senza rivedere il testo. Il problema ora sono i voti che potrebbero mancare al via libera definitivo (con i renziani ancora una volta possibile ago della bilancia) e i tempi strettissimi prima della fine della legislatura. Ma vediamo cosa c’è davvero nel provvedimento e su cosa si dividono i partiti (e la Chiesa).
Il contenuto della legge – Il ddl Zan ha avuto un primo via libera alla Camera nel novembre scorso e da mesi aspetta di concludere il suo iter a Palazzo Madama. A volerla dire tutta, l’attesa per una legge contro l’omotransfobia è ancora più lunga se si considera che il primo ddl in materia venne presentato nel 1996. Questa legislatura sembrava che l’accordo fosse praticamente fatto, ma nel giro di pochi mesi è cambiato tutto: il governo Conte 2 è caduto ed è cambiata la maggioranza, portando il centrodestra al governo (tranne Fdi). Il testo approvato a Montecitorio è una sintesi di vari disegni di legge di Pd, M5s, Leu e addirittura Forza Italia. Il contenuto è molto semplice: modifica la legge Mancino che punisce i crimini di odio e di incitamento all’odio per “per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” e la estende alle discriminazioni basate anche a motivi fondati su “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità“. Questa estensione che, va precisato, non riguarda il reato di propaganda, ma solo “chi incita o commette” atti di discriminazione, viene contestata sotto molti punti di vista. Tra le altre cose, ad esempio, quasi tutte le destre, gli ultra cattolici e le femministe trans-escludenti si oppongono all’introduzione della dicitura “identità di genere”, concetto che supera il binarismo di genere e permette di difendere le persone trans (come già nella maggior parte dei Paesi Ue e come l’Unione europea ci chiede di fare dal 2010).
La libertà d’espressione è a rischio? Falso – È la principale argomentazione di chi si oppone alla legge: se passa il ddl Zan non sarà più possibile esprimere liberamente le proprie opinioni. Un’obiezione debole perché la legge appunto non punisce la “propaganda”, ma solo chi istiga a commettere o commette atti di violenza o discriminazioni. Ovvero, come dimostra la giurisprudenza, non bastano le dichiarazioni, ma ci devono essere esternazioni che portano a un’azione discriminatoria o di violenza.
Nonostante tutto questo, per tutelare al massimo la libertà d’espressione, nel passaggio alla Camera, al testo è stata aggiunta una clausola definita “salva idee“. L’articolo 4 del ddl recita infatti: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Proprio l’inserimento della dicitura “concreto pericolo“, aiuta a chiarire quando subentra la discriminazione o l’atto di violenza.
Il primo firmatario della legge, il deputato Alessandro Zan, lo ha ripetuto in questi giorni al Corriere della Sera: “Applichiamo una legge consolidata nel nostro ordinamento e collaudata da sentenze della Corte Costituzionale. Nella Legge Mancino si parla di istigazione all’odio. Dire ‘sono contro i matrimoni gay’ è un’opinione, non la condivido ma è un’opinione. Dire su una pubblica piazza o nei social ‘se avessi un figlio gay lo brucerei nei forni’ non è più un’opinione, ma istigazione alla violenza e all’odio. Quando c’è un pericolo per l’altro non è opinione. Per fare una legge contro l’omotransfobia ne abbiamo presa una che esiste già, ma la estendiamo ad altri gruppi sociali”. Ovvero, a differenza di quello che dicono gli oppositori, non si crea un nuovo tipo reato d’opinione, ma si estendono le fattispecie di una legge già esistente che punisce l’incitamento all’odio, alla violenza e la discriminazione. E se, come viene sostenuto, il ddl Zan limita la libertà d’espressione, allora andrebbe rivista anche la legge Mancino là dove punisce i crimini d’odio basati su razza, etnia e religione.
C’è allora chi obietta ancora che la distinzione tra discriminazione e semplice opinione sarebbe, se passasse la legge, sempre affidata a un giudice perché la legge non definisce con precisione gli atti di discriminazione. L’ultimo ad averlo affermato è stato il cardinale Pietro Parolin: “Il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago”, ha detto in questi giorni. “In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate”. Ma questa argomentazione è smentita dalla giurisprudenza, come ha ricordato a tal proposito il Servizio studi del Senato ricordando, nell’analisi dedicata al ddl Zan, la sentenza della Cassazione (Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655). Questa afferma che il reato di istigazione a compiere atti di discriminazione non si pone in contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito nell’art. 21 Cost., in quanto “l’incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta, quanto meno intesa come comportamento generale, e realizza un quid pluris rispetto ad una manifestazione di opinioni, ragionamenti o convincimenti personali”. Tradotto: un prete dal pulpito o un cattolico in una manifestazione potranno continuare a difendere quella che è per loro la famiglia tradizionale e criticare i matrimoni gay. Diverso è se incitano alla violenza contro i gay o se decidono di aggredire una persona omosessuale.
Il ddl Zan è inutile perché la violenza è già punita? Falso – In Italia non vengono punite le aggressioni per motivi omotransfobici. Nella maggior parte dei casi, quando viene commesso questo tipo di violenza, si può applicare (ma non è obbligatorio) “l’aggravante per motivi abietti e futili” (articolo 61 del codice penale) che fa riferimento a “impulsi psichici che inducono il soggetto a tenere una determinata condotta e che si caratterizzano per essere spregevoli, malvagi (abbietti) oppure del tutto sproporzionati rispetto all’azione delittuosa commessa”. Ma, secondo le associazioni che difendono le persone lgbt, non riconoscere la matrice omotransfobica dell’aggressione e limitarsi a parlare di “sporporzione“è proprio la radice del problema. Colpire infatti una persona omosessuale per il suo orientamento sessuale, è un crimine d’odio che riguarda di fatto un’intera comunità che da quel momento sarà più spaventata. Proprio come nei casi di razzismo. E l’emergenza esiste: come ricordato da Rete Lenford a ilfattoquotidiano.it, stando ai dati dell’Osservatorio della Polizia contro le discriminazioni si parla di “un reato ogni quattro giorni contro persone della comunità Lgbtqi”.
Il ddl Zan impone alle scuole di celebrare la giornata contro l’omotransfobia e diffondere la “dottrina del gender”? Falso – La legge contro l’omotransfobia non si limita a prevedere sanzioni, ma si concentra anche su prevenzione ed educazione contro la violenza. Per questo, all’articolo 7, si prevede l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per il 17 maggio: è una ricorrenza che nel mondo è celebrata già dal 2004 e ricorda quando l’Oms tolse l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali (era il 1990). Una giornata che già di fatto nel nostro Paese, uno degli ultimi a non averla riconosciuta ufficialmente, viene celebrata (un mese fa ne hanno parlato il presidente della Repubblica e il presidente della Camera), e la sua ufficializzazione permetterebbe di avere una chiara condanna delle violenze da parte dello Stato.
L’opera di sensibilizzazione è rivolta anche alle scuole, che vengono citate nella legge, ma non c’è nessuna imposizione e per questo l’esenzione richiesta dagli istituti cattolici non è necessaria: “In Aula alla Camera, proprio per venire incontro alle preoccupazioni di parte del mondo cattolico”, ha detto sempre Zan nei giorni scorsi, “è stato precisato che le iniziative dovranno essere coerenti con il piano triennale dell’offerta formativa e con il patto di corresponsabilità educativa tra scuole e famiglie”. E quindi “nel rispetto dell’autonomia scolastica”. Questo significa che, come già avviene in occasione di tante altre giornate nazionali (dall’Olocausto alle vittime di mafia), senza l’accordo di genitori, insegnanti e istituti non sarà organizzata alcuna attività. Inoltre le iniziative sono pensate, si legge nel dddl “al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze”. Quindi l’obiettivo è la prevenzione di bullismo e violenza, non certo la propaganda, come invece sostengono molti degli oppositori.
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Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.