di Greta Di Mattia
Origine della minaccia: Stato. Categoria: atti aventi effetti inquietanti sulla libertà dei media. Livello della violazione: 1 (il più grave). Leggendo simili voci si potrebbe pensare che si riferiscano ad un caso avvenuto in un Paese come l’Ungheria di Orban, e invece è successo in Italia.
È in seguito ad una segnalazione da parte della Federazione internazionale e della Federazione europea dei giornalisti che la condanna del programma condotto da Sigfrido Ranucci da parte del Tar del Lazio è finita sulla piattaforma del Consiglio d’Europa per promuovere la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti. Si tratta della seconda “medaglia all’occhiello” del 2021 per l’Italia, dopo il caso dell’indagine della Procura di Trapani in seno alla quale sono stati intercettati diversi giornalisti impegnati nel documentare le sofferenze dei migranti nel Mediterraneo, in spregio alla tutela delle fonti.
Nel caso in cui la gravità di quella che appare una pericolosa deriva non sia abbastanza chiara di per sé, basti pensare che la chiusura dell’ultima radio indipendente ungherese, Klubràdiò, avvenuta il 14 febbraio scorso in seguito al negato rinnovo della licenza da parte dell’Autorità nazionale ungherese sui media e le comunicazioni, è una minaccia classificata con un livello più basso, il numero 2, sulla stessa piattaforma del Consiglio d’Europa. I livelli 1 e 2 corrispondono, rispettivamente, alle violazioni “più gravi e dannose” e “a tutte le altre serie minacce” alla libertà dei media.
In effetti, mentre la chiusura di una radio, di un canale televisivo o di un giornale, per quanto gravi, sono eventi reversibili e in limitati casi giustificabili da urgenti esigenze di “sicurezza nazionale” (per quanto simile giustificazione sia storicamente abusata e di certo non è applicabile al caso ungherese), le violazioni della segretezza delle fonti giornalistiche potrebbero avere conseguenze profonde e a lungo termine sulla società. Senza essere protette dall’anonimato, infatti, le fonti potrebbero avere timore, in futuro, di rivelare informazioni preziose per un’inchiesta giornalistica di alto interesse pubblico e di conseguenza, come affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza Goodwin, “il ruolo pubblico vitale di ‘cane da guardia’ svolto dalla stampa potrebbe essere compromesso”.
Nell’allarmante caso in cui il ricorso di Report al Consiglio di Stato si concluda anch’esso con una condanna della redazione del programma d’inchiesta, un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo si concluderebbe sicuramente con una condanna dello Stato Italiano. Tuttavia, il timore dell’“effetto slavina” paventato da Ranucci resta, soprattutto in un Paese dove i rappresentanti dei partiti che attualmente sembrano godere del maggior sostegno popolare acconsentono ad una simile violazione della libertà dei media attraverso un inquietante silenzio. D’altronde, in quegli stessi ambienti si è parlato più volte del desiderio di “importare il modello ungherese” in relazione a certe politiche. Chissà, magari questa volta sarà l’Ungheria a voler importare il modello italiano.