Decine di testimonianze in prima persona, ma anche di genitori, mariti e mogli, fratelli e sorelle. La casella di posta elettronica de ilfattoquotidiano.it (redazioneweb@ilfattoquotidiano.it) ha ricevuto molte lettere che raccontano la realtà della precarietà senza tutele. Ecco altri racconti di chi invita a rifiutare e protestare per i contratti irregolari, le paghe insufficienti e le tutele che non ci sono. La madre di uno studente dell'alberghiero: "Ho consigliato a mio figlio di lasciare questo schifo di lavoro"
Mi chiamo Giorgio Pegoraro e da anni mi ribello a queste situazioni di maltrattamenti e schiavismo che purtroppo ci sono e nessuno fa niente. Diplomato in cucina, ho lavorato in molto posti in Italia, Francia (Parigi), Medio Oriente (Kuwait), Maldive ora negli ultimi 3 anni.
Dal mio punto di vista parto con il dire che per la fiscalità posso capire il lamento degli imprenditori viste le tasse così assurdamente alte che strozzinano molto questo settore, e che la concorrenza sempre più vasta che si vende per un euro in meno (all you can eat, menu del pranzo a 10 euro tutto compreso) dà un’altra grande mazzata al nostro settore (tutti quei ristoranti piccolini senza contare ovviamente gli hotel o ristoranti di fascia alta, ma ora ci arriveremo). Purtroppo anche la clientela dovrebbe capire che non può pretendere di pagare 10 euro antipasto, primo, acqua, caffè e coperto senza che il locale vada a tagliare su qualità e sulla testa di qualcuno. Detto ciò, però, ora vi racconto le mie di esperienze sia in Italia che all’estero.
Ho 26 anni, sono chef lv Manager per 3 ristoranti di una nuova apertura di un resort 5 Lusso e precedentemente di un 5 Lusso numero uno dell’Oceano Indiano e tra i primi resort del mondo, con clienti come Barclays, Bill Gates, Renzo Rosso – gestendo la cucina principale (5 ristoranti, più di 30 dipendenti, operazioni 24h). Vi faccio questa premessa perché? Per farvi capire che l’estero è meritocratico anche, cioè se sei in grado te lo fanno fare! In Italia vige molto il nonnismo nel nostro settore e l’esperienza la fa l’età e non l’esperienza in sé, quindi fino a che non hai 30-40 anni pensano che non sai fare niente o quasi.
Parlando invece di salari e trattamenti. Un velo pietoso va steso su questa cosa. Il mio apice lo raggiunsi nello stellato Michelin, avevo 18 anni, capo partita una stella Michelin e ricordo che ci facevano fare 16 ore circa al giorno e nei mesi dove c’era più lavoro nemmeno mezza giornata off (relata che si attua anche alle stagioni e ad altri posti dove ho fatto stagione), il tutto per uno stipendio di 1200 euro al mese (2-3 euro all’ora?), senza nemmeno il tempo di fumare una sigaretta, o molte volte mangiare, e se andavi in bagno giusto quei 2 minuti. La stanza una cosa fatiscente che nemmeno il tuo cane ci metteresti, ma ovviamente il cuoco di turno ce lo metti perché è meno di un cane. E così sono la maggior parte dei lavori stagionali.
Il trattamento? Solitamente sono uno stipendio base e poi tutto quanto il resto che viene pattuito fuori busta, ti accordi per quanto riesci a tirare e punto, non esistono straordinari e hai un giorno di riposo a settimana (che onestamente con il nostro lavoro è pure poco, in Francia per legge ne facevo due a settimana) e molte volte nei mesi di metà giugno, luglio, agosto fino metà settembre diventa o mezza giornata o proprio non lo prendi (facendo 14/16 ore al giorno, correndo sempre, un caldo infernale, alloggi decrepiti). Morale della favola? Io dico da anni che i lavoratori devono ribellarsi e non assecondare questa situazione e finalmente sta accadendo!
Io all’estero sono stato sempre trattato bene (e chi lavora all’estero sa molto bene che è meglio evitare i locali gestiti da italiani perché ti vogliono sfruttare, non tutti ma parecchi) a Parigi facevo le mie 9 ore circa al giorno, due giorni di riposo a settimana, stipendio in regola. Maldive pagato molto bene, alloggi mooolto belli (una casetta mia), benefit (ristoranti, vacanze aggiuntive, bonus salariali, aereo pagato, subacqueo gratuito etc), stipendio alto e trattato con rispetto e come un gran professionista.
Concludendo in Italia si dovrebbe vedere il nostro settore non diversamente da un lavoro di ufficio o operai per i diritti, e smetterla con lo schiavismo. In questo ultimo anno ho visto con i miei occhi cuochi e chef andare a fare i giardinieri o operai (e molti anche negli anni passati) pur di non lavorare nei ristoranti o hotel in Italia. Spero veramente che la situazione cambi, e di molto, e di vedere la nostra bellissima Italia che si rialza e splende con tutti i professionisti che ci sono in Italia ma si sono stancati e di quelli all’estero che magari per una volta possiamo tornare e trovare delle offerte decenti. Perché l’estero sarà anche bello, ma è sempre un sacrificio, casa ovunque essa sia è sempre casa.
Giorgio Pegoraro
chef de cuisine Kuda Villingili Resort Maldives
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Io sono una ragazza straniera in Italia oramai da tanti anni. Quando sono arrivata qui ero piena di sogni e volevo un lavoro che mi piacesse e mi appagasse. Il primo che ho trovato era come barista, nessun contratto (se c’era qualche controllo il proprietario veniva avvisato) e mi mandava a passeggiare per un po’. Lavoravo 10 ore al giorno, mezza giornata libera a settimana, niente ferie ovviamente per 500 euro al mese. Non ho mollato e mi sono trasferita in un’altra città sperando nel meglio.
Qui quando ho fatto il colloquio mi è stato assicurato un contratto, un giorno libero a settimana e una settimana di ferie all’anno. Lo stipendio partiva da 550 euro al mese perché non ero preparata nel campo poi una volta imparato a muovermi avrei guadagnato anche 1000 al mese. Dovevo fare la cassiera in un bar /tabacchi con annesso un hotel quindi dovevo fare anche la receptionist. Ero giovane, ambiziosa e adoravo quella città. E’ assurdo ma ho accettato. Superata la mia prova da anni lo stipendio e rimasto tale, le ore lavorative a volte diventavano anche 15, mai una giornata libera. Dovevo rimanere a disposizione 24h su 24 nel caso avessero bisogno. Ho subito un intervento chirurgico e non dovevo sforzarmi per quasi un mese. Mi hanno dato una settimana per mettermi in sesto o mi avrebbero licenziata. Avevo un affitto da pagare e nessuno su cui contare. Un’altra volta avevo la febbre 39 con il naso che mi colava di continuo mi hanno detto che non potevo mancare dal lavoro e che potevo drogarmi, fare quello che mi pareva ma il giorno dopo dovevo presentarmi al lavoro. Non potevamo mangiare per tutto l’orario lavorativo, se andavo in bagno più di una volta mi gridavano e strillavano con minacce di botte che non potevo lasciare la postazione. Di contratto di lavoro non ti dovevi nemmeno permettere di pronunciare la parola. Ho lavorato lì per 3 anni, c’erano dei controlli ma loro sapevano già. Eravamo in 5 a lavorare in un turno (italiani, ero l’unica straniera ma avevano lo stesso trattamento) e nessuno assicurato. Loro, i proprietari, gente molto influente in questa zona quindi avevi anche paura di dire ad una terza persona qualcosa su di loro.
Io me ne sono andata via da lì e grazie alla mia ambizione e perseveranza lavoro per me stessa nel turismo, ma non tutti sono fortunati come me. I miei ex colleghi sono ancora lì, sfruttati e sotto, sottopagati: mi piange il cuore a vederli così. Magari sono uscita fuori tema ma il mio ragionamento è che chi sfrutta in questo modo è sicuro e non ha paura di farlo, la disoccupazione è tanta ed io spero tanto che i giovani ragazzi di oggi riescano a farci rispettare a tutti noi lavoratori. I titolari di strutture ricettive, bar, ristoranti invece di continuare a dare la colpa al reddito di cittadinanza (che ahimè a me a quell’epoca avrebbe cambiato la vita: non più stress e pianti quando tornavo a casa dal lavoro) si guardassero un attimo e riflettessero la nuova generazione sa lottare per i loro diritti. Tocca loro iniziare a fare un po’ di lavoro invece di fare le vacanze in tutto il mondo sulle spalle dei schiavi lavoratori.
Emma Ganeanu
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Spett.le Redazione del Fatto Quotidiano,
innanzitutto vorrei ringraziarvi per aver portato alla luce un grande problema che affligge noi lavoratori stagionali.
Sono Daniele e ho 34 anni, nato e residente a Crotone. La mia storia inizia molti anni fa, quando ancora adolescente, lavoravo durante le vacanze estive presso quei ristoranti che facevano della stagione la loro principale fonte di guadagno annuale. Il mio era un lavoro pagato 20 euro per 10 ore di lavoro, ora più, ora meno. A questo si aggiungeva l’agonia di ricevere il compenso mensile in quanto il datore di lavoro peccava di puntualità ed io, costretto quasi ad elemosinare quei pochi soldi a me dovuti, ero solito sentirmi dire che “questo mese ci sono state le bollette o i fornitori da pagare e che avrei dovuto aspettare”. Sapevo che era un obbligo pagare la bolletta della luce (ad esempio) altrimenti la compagnia fornitrice ne avrebbe bloccato il servizio, e come poteva un ristorante lavorare senza elettricità!? Ma quindi, secondo lo stesso ragionamento, come poteva un esercente lavorare senza personale perché non retribuito secondo i giusti tempi? La risposta è semplice, avrebbero potuto fare a meno di me perché ci sarebbe stato qualche altro ragazzo pronto a sostituirmi. Inoltre, avrei dovuto aspettare il termine della stagione per ricevere quanto guadagnato, con la speranze di non ricevere qualcosa in meno, semplicemente come atto di ripicca nei miei confronti.
Ho capito quanto questa sia una realtà contorta e lontana anni luce da quella di altri Stati europei quando ho avuto la fortuna di lavorare a Londra, con contratti regolari, giorni liberi, ferie pagate, malattie e quant’ altro. Per mie personali ragioni sono stato costretto a tornare in Italia ma anziché ricominciare dalla mia piccola città in Calabria, dove lavoro ce n’è poco, e sicuramente meno gratificante, ho deciso di trasferirmi a Milano in quanto rinomata per essere una città come le altre dei nostri vicini oltre confine. La mia è stata una spiacevole sorpresa. Il primo lavoro che sono riuscito ad ottenere prevedeva un pagamento in busta per una parte, mentre l’altra in nero, proprio come accade nelle regioni del Meridione.
Oggi mi trovo nella mia città natale e ricevo spesso chiamate da amici o conoscenti che mi propongono lavori che però abitualmente rifiuto in quanto prevedono 7/7, più di 8 ore di lavoro (naturalmente continuato) per non più di 30 € al giorno, ovviamente contratto part-time di 4 ore al giorno. Ho sentito le parole del leader della Lega, Matteo Salvini, riguardo ai suoi “amici” imprenditori qui in Calabria che a differenza dei loro colleghi in Romagna offrono contratti regolari. Spero possa indicarmene qualcuno visto che ad oggi ho solo ricevuto offerte illegali ed indegne.
Daniele Folino
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Sono la mamma di un ragazzo neomaggiorenne che frequenta il quarto anno all’istituto alberghiero. Quest’anno, per la prima volta nella sua vita, ha presentato il suo curriculum (ovviamente piuttosto scarno) presso diversi ristoranti del litorale. E’ stato chiamato e messo in prova da un ristoratore. I primi due giorni, orario 10-16, è stato retribuito con 20 euro a giornata; siccome pare che se la sia cavata abbastanza bene, il ragazzo è stato richiamato a lavorare nei successivi fine-settimana; tutto bellissimo ma a fine giornata è stato retribuito con 15 euro più 5 di mancia.
Ho consigliato a mio figlio di lasciare questo schifo di lavoro e, se proprio vuole imparare il mestiere sul campo, forse è meglio offrirsi volontario in qualche locale serio, senza vincoli di orario; i 15 euro glieli do io, magari rinunciando a qualche pacchetto di sigarette!
Lettera firmata
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Vi scrivo in quanto ho letto le diverse mail che i colleghi di tutta Italia (soprattutto quelli della Riviera Romagnola) continuano ad inviare e ho deciso che era il momento di raccontare anche la mia storia. Io vivo e lavoro nella Riviera Ligure. Premetto che ho avuto quasi sempre la fortuna di trovarmi bene con i datori di lavoro e con chi lavorava con me. Con 10 o 13 ore al giorno è importante trovarsi bene, anche e soprattutto quando il locale è tutto pieno. Tuttavia fino ad oggi ho sempre dovuto accettare contratti insignificanti, che mettevano in regola 3 ore di lavoro al giorno (il resto in nero) e che davano persino un giorno di pausa (cosa che però non è mai avvenuta). I giorni di pausa si hanno solo quando piove, non sono mai pagati.
Ovviamente in caso di controlli si veniva istruiti su cosa era giusto dire. Questo non succede solo con gli stagionali, ma anche nella ristorazione in generale. Ho 27 anni e ad oggi non ho messo nulla da parte per la pensione, eppure lavoro da quando ne avevo 20. Penso che sia arrivato il momento di cambiare le cose. Si decide di non lavorare non perché non se ne ha bisogno ma perché forse per la prima volta possiamo non sottostare a queste leggi del mercato del lavoro, in cui se non accetti quello che ti viene offerto sei gettato fuori.
Lettera firmata
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Ho 60 e lavoro nella ristorazione a Venezia. Io sono un dipendente fortunato rispetto a chi vi ha scritto in questi giorni. Avrei comunque molto da raccontare riguardo lo sfruttamento del personale in questo settore ma qui voglio esprimere tutta la mia solidarietà a chi non intende più essere sfruttato e sottostare ad un regime di semi schiavitù, in tutti i settori produttivi, che lo facciano grazie ai sussidi o meno.
Ma soprattutto scrivo per pregare la redazione del FattoQuotidiano.it di non “far morire” questa vostra inchiesta, di non lasciare che vada nel dimenticatoio. Tenetela viva, per favore, che serva a smuovere le coscienze dei datori di lavoro, l’apatia dei sindacati e il cuore dei genitori di questi ragazzi che si stanno ribellando, per non costringerli ad andare a lavorare comunque (qualunque cosa, purché sia un lavoro), ma che gli insegnino che i diritti sono più importanti.
Massimo Andreotti