Orandum est ut sit mens sana in corpore sano
Giovenale, X, 356
L’idea di un’equazione perfetta tra salute mentale e fisica si colloca alle radici della nostra cultura. Quando Roma non era altro che un villaggio di capanne, i Greci competevano da decenni nei giochi olimpici.
A dire la verità, i Greci competevano su tutto: campi di battaglia, tribunali, teatri, concorsi musicali. Nessuna esibizione di talento era concepibile senza una gara: scopo della competizione non era partecipare, ma vincere. Il termine “atleta” (athletés), in greco antico designa colui che compete per vincere un premio in qualunque campo, non solo quello sportivo. Platone chiama atleti anche i musicisti.
Se la causa di questa ostinata propensione culturale all’agonismo risiede nella geo-politica, l’effetto a lungo termine più importante è probabilmente l’invenzione greca dello sport come lo intendiamo ancora oggi, ovvero un’attività motoria competitiva organizzata in base a determinate regole. Tuttavia, il contesto culturale da cui lo sport ebbe origine ne determinarono certe caratteristiche che differiscono dalla nostra esperienza. Non c’era podio nell’antica Olimpia, né giochi di squadra: si gareggiava da soli, solo per vincere. Il corpo dell’unico vincitore, rigorosamente maschio, nudo e perfetto, era poi ritratto in sculture che ancora oggi, attraverso le copie romane in marmo a noi pervenute, ci riempiono di meraviglia.
Il nostro concetto di salute è quello di uno stato di benessere di corpo e psiche, un’armonia che coinvolge la globalità sia dell’individuo che della collettività. Lungi dal limitarsi all’assenza di malattia, la salute si configura come uno stato di integrità psico-fisica, e come tale è tutelata dall’articolo 32 della Costituzione.
L’attività motoria, insieme alla scuola, è un elemento fondamentale non solo per la salute psicofisica di ogni individuo in crescita, ma anche per lo sviluppo di una società sana. Lo sport, in particolare quello di squadra, offre pochi spiragli ai privilegi acquisiti, incoraggia all’accoglienza e al riconoscimento della diversità come valore, argina l’ego e allena a considerarsi parte di un insieme che funziona solo attraverso una sinergia di sforzi e di intenti. Sono gli stessi principi che determinano l’efficacia di una società.
L’emergenza legata a SARS-CoV-2 ha scisso per la prima volta il piano fisico da quello mentale, sbilanciando l’attenzione sul primo a totale detrimento del secondo. Al senso di insicurezza e pericolo costante, la politica ha risposto provando a offrire una garanzia di protezione dalla malattia, e riducendo essenzialmente a questo la tutela del diritto alla salute. Attività fondamentali per il benessere psico-fisico – quali socializzare, andare a scuola, giocare, scorrazzare nel campetto sotto casa o praticare sport – sono state considerate aspetti secondari rispetto all’urgenza di ridurre i contagi; non diritti, quindi, ma lussi, sacrificabili e sacrificati per un lasso di tempo mai finito, con un impatto negativo sulla tenuta psicologica soprattutto dei bambini e degli adolescenti la cui portata non è ancora possibile quantificare.
La salute è stata identificata come assenza di malattia, e per essa spacciata; i benefici fisici, mentali e sociali dell’attività motoria, il ruolo dello sport come palestra di inclusione e di relazione, il suo educarci alla competizione leale, alla sconfitta e alla vittoria, sono stati sacrificati come orpelli marginali, subordinati, tra le altre cose, al diritto di culto e alla possibilità di recarsi in un supermercato.
Per non parlare poi del fatto che attività fisica e abitudini alimentari sono elementi chiave nella salute delle persone che impattano su tutte le patologie croniche, incluse quelle oncologiche, per cui è fondamentale acquisire buone abitudini fin dall’infanzia.
Come per la chiusura delle scuole, i più colpiti dalla sospensione dello sport sono stati i bambini e i giovani in generale. Mentre gli adulti hanno mantenuto la possibilità di uscire per commissioni o per lavoro, ai giovani è stato imposto di restare a casa negando loro di fatto tutte le attività che potevano tenerli impegnati fuori casa (farei: all’aperto). In alcune regioni questa imposizione è stata particolarmente pesante, perché alla chiusura delle scuole si è accompagnata anche quella di parchi e ville comunali. E, comunque, anche dove le scuole sono rimaste in presenza, da settembre in poi è stata diffusamente negata la possibilità di svolgere educazione fisica sia all’interno che all’esterno degli edifici scolastici con la chiusura di palestre e società sportive.
In questi ultimi mesi, molti studi scientifici, condotti prevalentemente durante la prima e seconda ondata della pandemia e incentrati sulle conseguenze del lockdown e ci permettono di calcolare i danni delle chiusure per fasce d’età. Le indagini sono state particolarmente concentrate sull’aumento dei disturbi del sonno, di patologie psichiatriche, dell’accesso alle strutture sanitarie di salute mentale, etc. dovuti principalmente al primo lockdown e alla mancanza di scuola in presenza dall’inizio della pandemia in poi. Non è ancora stato approfondito il ruolo sulla salute che ha avuto la mancanza di attività fisica regolare sulla condizione di salute di bambini, adolescenti e giovani.
Da qui, la necessità di avviare uno studio scientifico su Covid-19 e attività sportiva nei bambini e ragazzi tra 6 e 25 anni, per indagare sia i rischi connessi ai contagi da SARS-CoV-2 che i cambiamenti legati alle misure di contenimento, e capire se abbiano compromesso la vita quotidiana di bambini e giovani e la loro capacità di svolgere una sana attività fisica.
Lo studio è condotto dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) con la partecipazione esterna di diversi specialisti e la collaborazione di alcune società sportive. A questo link tutti i dettagli dello studio e le modalità di accesso al questionario da compilare.
Per ottenere un risultato accurato e scientificamente solido, è fondamentale raccogliere il maggior numero di adesioni possibili al questionario. Solo attraverso un campione ampio e il più possibile rappresentativo di bambini e giovani che facevano attività sportiva, infatti, sarà possibile ricavare un confronto valido tra quanti hanno potuto continuare a fare sport e quanti non hanno avuto questa possibilità. Vi invitiamo pertanto a diffonderlo e compilarlo.
È possibile accedere direttamente al questionario tramite il link: https://forms.gle/JMj7w4PExW3YVGMV7
Descrizione dello studio qui: https://www.ieo.it/covidsport
Testo scritto in collaborazione con Erika Bianchi e Clementina Sasso e il comitato tecnico-scientifico della pagina facebook https://www.facebook.com/SaraGandini68/