Rossella Arquà, da sempre la fedelissima di Nicola ‘Naomo’ Lodi, aveva lasciato dopo che la Digos ha trovato in casa sua i ritagli di giornali con i quali compilava le lettere. Adesso, difesa dall'avvocato Anselmo, sostiene che "l’idea di mandare le lettere non è stata mia”. E rifiuta di andarsene. La palla passa al consiglio comunale. Lunedì 28 è attesa la surroga, lei intende impugnarla
Rossella Arquà non ha fatto tutto da sola. Anzi, a suo dire, sarebbe stata manovrata. Sono i recenti sviluppi dell’ultimo caso targato Lega Ferrara. Rossella Arquà è – era – da sempre la fedelissima del vicesindaco Nicola ‘Naomo’ Lodi. Ora è indagata per avergli mandato una decina di lettere anonime minatorie. La procura estense parla di minacce aggravate e procurato allarme. Quest’ultima fattispecie la si deve al fatto che un paio di missive – sempre con minacce – le ha indirizzate anche a se stessa. Fino ad oggi la consigliera comunale non aveva aperto bocca e il caso sembrava – nella sua allarmante semplicità – già chiuso. Una volta scoperta con le mani nel sacco dalla Digos, che ha perquisito la sua abitazione e i rifiuti della raccolta differenziata rinvenendo i ritagli di giornali con i quali compilava le lettere, Arquà in poche ore si era dimessa dalla carica di consigliere e da quelle del partito (responsabile organizzativa).
Successivamente, per motivi tutti da scoprire, la leghista ha cambiato strategia e si è affidata all’avvocato Fabio Anselmo, nome a cui sono legati i casi Cucchi e Aldrovandi. Grazie al legale sono usciti dettagli che gettano ombre ancor più inquietanti sulla vicenda. Partiamo dalle dimissioni. È nel bel mezzo della perquisizione domiciliare (avvenuta il 10 giugno) che Arquà computa un unico nome sul telefonino. È quello di Naomo. Gli scrive allarmata. Lui lascia intendere che è a conoscenza dell’atto di indagine e le risponde deluso: da te non me lo sarei aspettato.
Il mattino dopo l’indagata viene chiamata dal referente provinciale del Carroccio Davide Bergamini. Anche lui è a conoscenza dell’operazione e le intima “perentoriamente” – è la ricostruzione dell’Arquà – di rassegnare le dimissioni, oltre che dalle cariche di partito, anche da quella di consigliere. Altra stranezza: Bergamini le preannuncia che il giorno successivo su un giornale avrebbe dato “ampio risalto all’oggetto delle indagini a suo carico”.
Poco dopo a chiamarla è Lorenzo Poltronieri, il presidente del consiglio comunale, che la invita a recarsi in Comune per firmare le dimissioni. Lei si rifiuta e Poltronieri, “con fare insistente”, le chiede dove si trova in quell’esatto momento. Lei stava camminando in centro a Ferrara e Poltronieri, insieme a un funzionario comunale, la raggiunge e le fa firmare il foglio per strada, “già predisposto”. Era tanta la fretta che Arquà “non ha avuto nemmeno modo di leggere compiutamente”.
Tutte queste stranezze vengono messe in fila in una diffida che la Arquà ha inviato al Comune: le dimissioni sono nulle per difetto di forma e perché ottenute “in un momento di assenza di lucidità”, “in uno stato di profonda ed evidente prostrazione e disorientamento emotivo a fronte della perquisizione domiciliare da poco subita e dalla preannunciata falsa e martellante campagna di stampa” nei suoi confronti. Pronta la reazione di sindaco Alan Fabbri e vice: “Le dimissioni sono valide e irrevocabili e non si può ammettere in Comune chi ha minacciato, parliamo di reati gravi e di sicurezza”.
Non finisce qui. Sui media inizia una serie di attacchi nei suoi confronti e lei alla fine lancia messaggi precisi: “Ho fatto degli errori, qualcuno mi ha chiesto di fare questi errori. L’idea di mandare le lettere non è stata mia”. Chi sarebbe allora il mandante? Anselmo anticipa che il nome, o i nomi, verranno fatti davanti al pm in sede di interrogatorio. “Io non sono un pericolo, non sono una criminale come mi vogliono far passare loro”, riprende Arquà, che lascia immaginare che la vicenda avrà future ripercussioni: “Se mi dimetto io, si deve dimettere anche Naomo Lodi”. “Non si rendeva conto della gravità di quello che stava facendo. Qualcuno si è approfittato di lei – le dà man forte Anselmo -. Era un buon soldatino, dopodiché è crollato il mondo”.
Ora la palla passa al consiglio comunale. Lunedì 28 è attesa la surroga. Fabbri e Lodi han già fatto sapere di voler procedere nonostante i sibillini richiami a responsabilità più in alto dell’Arquà. “Questa è invece una questione tecnica, non politica – avverte l’avvocato -. Se il segretario generale ritiene che siano regolari se ne assumerà la responsabilità. Noi impugneremo la surroga, se la faranno”. Il rischio è siano annullabili tutti gli atti presi da un consiglio comunale non correttamente formato. E di questo, fa sapere Anselmo, verrà interessata anche la procura generale della Corte dei Conti.