di Fabio Barbieri
Condivido le riflessioni fatte il giorno dopo la morte del sindacalista Adil Belakhdim dall’amico Alvi Torrielli: abbiamo deciso di farlo oggi lontano dal clamore mediatico perché crediamo che ricordare è fondamentale, perché possa non ricapitare.
Di fronte alla notizie del sindacalista travolto ed ucciso da un camionista per forzare il presidio di Biandrate, mille riflessioni si affastellano nelle mente, oltre al dolore per una morte assurda. Al di là del singolo episodio, su cui saranno gli inquirenti a dire l’ultima parola, quello che mi interessa è provare a rispondere ad una domanda, già di per sé inquietante: è stato un attimo di pazzia oppure è il sintomo di un disagio profondo nel Paese? Colpevolizzare la follia sarebbe rassicurante, ma sarebbe solo l’ennesima fuga da una realtà che, quotidianamente, sta presentando il conto.
Ricercando una causa sociale, molti sono gli spunti che emergono: la tensione legata alla pandemia ha logorato tutti noi, l’incertezza del futuro, di cosa accadrà con l’arrivo dell’autunno, il timore che la luce che ora ci sembra di poter veder alla fine del tunnel possa rivelarsi solo un’illusoria fiammella è un pensiero strisciante in fondo alle nostre menti, per non parlare dei problemi economici e lavorativi che emergeranno a breve. Credo, però, che in fondo anche questa sia di per sé una rassicurante valutazione che limita ad un fenomeno devastante ma puntuale, come una pandemia, le problematiche che stanno dietro i molti casi di tensione sociale, di cui quello di Biandrate sembra essere solo un epifenomeno.
Rassicurante perché ci permette di scaricare fuori di noi la responsabilità di quanto sta avvenendo: che colpa abbiamo se un maledetto virus si è diffuso nel mondo, togliendoci la vita sociale, minando il nostro modello economico? Noi siamo solo vittime in questa situazione!
Ma com’era il mondo prima del Covid? Davvero possiamo dire che la colpa sta tutta in quel maledetto coronavirus? O forse il problema sta in un modello sociale ed economico che ci vuole sempre più omologati, che ci allontana dal nostro essere umani per trasformarci in esseri produttivi, la cui unica funzione è contribuire alla creazione di una ricchezza che, oltretutto, si sta sempre più concentrando in poche mani?
Qualche tempo fa una pubblicità consigliava, a fronte di una sempre maggiore difficoltà di un impiegato qualunque a svolgere la crescente mole di lavoro, di prendere un integratore per poter riuscire nell’impresa. Il messaggio è devastante: non rivendicare un’attività lavorativa adeguata, ma piuttosto doparsi per lavorare! Si potrebbe obiettare che, in fondo, era una pubblicità e che l’obiettivo è quello di vendere un prodotto, non di rivendicare migliori condizioni lavorative; ma è l’insieme di messaggi come questi a creare una cultura in cui i diritti dell’uomo sono secondari all’unica legge che non può mai essere messa in discussione: quella del mercato, della produttività ad ogni costo.
La funivia del Mottarone, il ponte Morandi sono solo l’apice di una serie infinita di casi in cui il profitto è stato messo sopra tutto, e sono altrettanto numerosi i casi, con il ricatto occupazionale, di coercizione sui lavoratori perché chiudano un occhio, come dimostrano le tre morti giornaliere sul lavoro!
Tornando ai fatti, l’autista che si è trovato di fronte dei lavoratori che stavano rivendicando migliori condizioni che cosa avrà pensato? Avrà sentito la vicinanza con chi, come lui, quotidianamente lavora in condizioni sempre più dure o invece avrà visto degli ostacoli al conseguimento del sacro obiettivo lavorativo quotidiano? Gli eventi danno una devastante risposta a questo quesito e consegnano a tutti noi un ulteriore interrogativo: stiamo facendo quanto basta per cambiare la società, per renderla più equa, o viviamo passivamente, indignandoci a comando ogni qual volta accadono fatti come questo?
Per citare la frase attribuita a Edmund Burk: “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione”.