“Liberté, egalité, eliminé” sfotte il web. Nel mio condominio, tifo sfrenato per la Svizzera. Ogni gol elvetico, urla fragorose. Non c’è più religione.

Per una notte, Milano capitale virtuale del Canton Ticino. Clacson. Cori. Persino i fuochi artificiali. Qualcuno si è inginocchiato. Black Lives Matter? No: Black France’s Monday. Gli spocchiosi campioni del mondo sbattuti fuori all’ultimo fatidico rigore. L’ispirato Yann Sommer para il rigore fatidico, quello del dentro o fuori. L’ha tirato malamente Kylian Mbappé. “Chi tira per ultimo?”, aveva chiesto Didier Deschamps, il cittì ormai all’ultima spiaggia. “Moi, mister”, aveva risposto il 22enne supercampione, sollevando il dito. Ha chiesto e si è preso questa responsabilità: sono il calciatore che vale di più al mondo, dunque tocca a me dimostrarlo. Si è visto com’è andata.

Certi gol pesano più di tutti i soldi che ti danno. Non puoi sbagliare. Non devi. Se sbagli, l’errore ti resterà addosso per sempre. Chiedi a Roberto Baggio…

“Mbappé, il maledetto di Bucarest”, titolerà inviperito Le Monde. Adieu, Bleus! “Sommer in the night”, altra battuta in Rete. In verità, la battuta – clamorosamente – è la France. Quella che avrebbe dovuto asfaltare l’Euro. La favorita numero uno col tabellone in discesa sino alla finale. Sconfitta dalla Svizzera, già sconfitta, e molto, dall’Italia.

Per la prima volta siamo stati tutti svizzeri. Evento storico. Pane e cioccolato alla rovescia. E pensare che abbiamo maledetto Rodriguez, quando ha sbagliato il rigore che avrebbe portato i lanzichenecchi scudocrociati sul 2 a 0. Un certo sesto senso ce l’aveva fatto presagire, in fondo gioca nel Torino, che ha sfiorato la serie B… Invece. Mai dire mai.

Rimonta incredibile. Due gol di Karim Benzema, un terzo di Paul “polpo” Pogba a 15 minuti dalla fine della partita regolamentare parevano più letali del settimo sigillo di Bergman, quasi una morte annunciata degli svizzeri, vittime del loro velleitarismo… ma lo scafato allenatore Vladimir Petkovic, ex laziale (bosniaco naturalizzato da Berna), azzecca ogni mossa tattica, a cominciare dai cambi. Incita i suoi. Ha capito che i francesi pensano di essere già qualificati. Così, l’irriducibile Svizzera comincia a premere. Non si è arresa all’evidenza del risultato. La Francia ha perso concentrazione. Perderà anche qualcos’altro. Paga tanta supponenza. Che sia di lezione per tutti!

L’orgoglioso Haris Seferovic, attaccante del Benfica, segna con rabbia il suo secondo gol, al 90esimo pareggia con splendido tempismo Mario Gavranovic, nato a Lugano e bomber della Dinamo Zagabria. L’immigrazione slava (ma non solo slava) regala alla Svizzera la pagina più bella della sua storia calcistica.

Catarsi, scrivono i quotidiani elvetici, “adesso non vogliamo più fermarci”. Nei quarti, c’è la Spagna che ha liquidato (ai tempi supplementari) la Croazia vicecampione del mondo. In un sol giorno, cancellata la finale di Mosca del 2018.

Nel libro delle mutazioni (i Ching), l’esagramma 36 Mingyi contempla “la scomparsa della luce”. La sesta linea Yin è simbolica: “Il sole prima sale nel cielo” per illuminare “i quattro cantoni”. L’allusione non è illusione… Il sole, infatti, secondo questa sesta linea orizzontale, l’ultima in basso, “sprofonda nella Terra, mollando il dominio dell’universo”.

I francesi avrebbero dovuto ricordare Napoleone: “Les meilleures troupes, celles aux-quelles vous pouvez faire le plus confiance, ce sont les Suisses!”. Un battaglione mercenario aveva servito Napoleone in Spagna ed in Russia. Qualche timore l’aveva pure espresso l’Equipe, il quotidiano sportivo più influente d’Europa: “Tappa alpina”, aveva infatti titolato lunedì 28 giugno su tutta la prima pagina. Non per commentare l’avvio tormentato dalle cadute del Tour, bensì per mettere in guardia l’opinione pubblica e i giocatori della nazionale. Il calcio è talvolta nemico dei ranking.

Nessuna partita va sottovalutata. Bisogna rispettare l’avversario, qualunque esso sia. Lo sappiamo bene noi italiani. C’è infatti una data infausta, la più drammatica di tutte nel pur glorioso calendario del nostro calcio: quella del 19 luglio 1966, quando la sconosciuta Corea del Nord ci sconfisse 1 a 0 nel terzo incontro del girone di qualificazione. Una sera di tregenda. Fummo eliminati: ci sarebbe bastato un pari per accedere ai quarti. Per la prima volta, una squadra asiatica non solo era riuscita ad approdare alle fasi finali di un campionato mondiale, ma aveva battuto una delle squadre più blasonate. Il gol lo segnò tale Pak Doo-Ik, al 42esimo. Dissero che era un dentista. In realtà, non esercitò mai. Preferì diventare professore di educazione fisica. E vivere di gloria.

In campo, a Middlesbourgh, il ct Edmondo Fabbri aveva schierato il fior fiore della serie A: Albertosi, Landini, Facchetti, Fogli, Guarneri, Janich, Perani, Bulgarelli, Mazzola, Rivera, Barison. Gli sconosciuti randellatori di PyonYang non ebbero alcun timore reverenziale. Anzi. Ci domarono.

Al ritorno in Italia, gli azzurri vennero presi a pomodorate. “Giornata amara, giornata di vergogna”, scrisse Gianni Brera, “una mesta broccaggine sembra essersi impadronita dei nostri giocatori. Undici ragazzi coreani sprovveduti di tecnica ma non certo di coraggio né di slancio hanno messo sotto, votandoli ad un’ignobile fine, i nostri miliardari, esaltati da megalomani dei quali purtroppo siamo stati complici. Mi mancano le parole per esprimere il dispetto che ha preso tutti noi all’indegno spettacolo cui abbiamo assistito. Credo che abbiamo toccato il fondo e poiché quasi tutto è storto nel nostro calcio e costume sportivo inerente il calcio, debbo, per consolarmi, pensare che questa figuraccia giovi a riportarci su piani meno scandalosi nei confronti del mondo intero”.

Cambiano gli attori, non il copione. Cari amici d’Oltralpe, ora è toccato a voi. Avete smarrito la ragione. E la qualificazione. Un consiglio: traducete Brera. E chiedetevi perché tutto il mondo, ieri, vi tifava contro.

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