Il celebre danzatore si racconta al Corriere della Sera in occasione del suo “debutto” alla Biennale Danza di Venezia 2021 trasformato in un’opera d’arte, confidando le sue paure le sue angosce più profonde. Una tra tutte, la morte
“La morte forse preoccupa più gli uomini delle donne. Loro vivono più a lungo, con grazia. Noi uomini? Direi più isterici. Anche piagnoni. Un po’ come me“. A dirlo è il celebre danzatore Mikhail Baryshnikov che in un’intervista a Sette del Corriere della Sera si racconta in occasione del suo “debutto” alla Biennale Danza di Venezia 2021 trasformato in un’opera d’arte, confidando le sue paure le sue angosce più profonde. Una tra tutte, la morte: “Ci sono meccanismi, a volte indecifrabili, in grado di legare per decenni due persone. Può accadere in scena tra due artisti. Accade nella vita di chiunque. Rappresenta la quotidianità. Raccontarlo in un film, in una video installazione (quella firmata da Jan Fabre alla Biennale, ndr) che rimane per sempre, significa mostrarsi senza difese. Mentirei se dicessi che la morte mi lascia indifferente. Ho oltre 70 anni ed è come sentissi alle mie spalle il rumore di passi pesanti. Incalzano e indicano la fine. Mia moglie Lisa (la ballerina Lisa Rinehart, ndr), mi prende in giro. Quando arriva un nuovo copione o una nuova proposta di lavoro mi guarda e afferma: “‘Anche questo parla di morte?‘”