Enrico Michetti è stato imposto dalla Meloni agli alleati in forza dei suoi titoli, ma proprio su questi salta fuori la grana. Il curriculum vitae pubblicato sulla sua “Gazzetta Amministrativa” è lungo 18 pagine e 40mila parole, più di quello di Draghi che sul sito del governo sta in 182. Ma il problema è quel che c’è scritto. Il candidato del centrodestra infatti abusa sistematicamente della qualifica di “professore”, incurante del fatto che sia un “delitto contro la fede pubblica”. Da avvocato Michetti non può non conoscere l’art. 498 comma 2 del codice penale che punisce chi “si arroga dignità o gradi accademici”. Eppure è quel che fa, anche in atti pubblici: dal 2010 ha sottoscritto ben 9 protocolli di intesa tra la sua “Gazzetta” e i ministri Brunetta, Romani, Patroni Griffi, D’Alia, Madia e Lanzetta sempre con il titolo di ‘Prof’.
É vero che a Michetti sono stati conferiti dall’Università di Cassino contratti annuali di insegnamento (rinnovati però, se è vero quanto asseriscono i suoi curriculum, oltre il limite massimo di 5 anni disposto dall’art. 23 della L. n. 240/2010). Il candidato sindaco di Roma, quindi, è sì docente, ma del docente esistono qualifiche diverse, ed esse devono essere dichiarate.
Lo asserisce il Consiglio di Stato nel 1985, rispondendo a una richiesta di parere del Ministero dell’Istruzione: “Va garantito l’affidamento dei terzi, i quali devono essere posti in grado di discernere esattamente il ruolo di cui è investito chiunque si fregi del titolo di professore”. Lo ribadisce la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 870/91, disponendo che “la dizione ‘Professore’ usata dai professori a contratto deve essere accompagnata dalla indicazione, senza abbreviazioni, ‘a contratto in …, presso la Facoltà di … o la Scuola di … per l’anno accademico …’” e ciò vuol dire che un professore a contratto mai, in nessuno spazio web, cartaceo o marmoreo, può usare l’abbreviazione ‘prof.’, riservata unicamente ai professori ed ex professori ordinari. Lo ribadiscono ancora il Consiglio Universitario Nazionale e l’art. 35 del Codice deontologico forense.
Michetti, invece, per abitudine o presunzione, si qualifica dappertutto “prof.”. Addirittura ‘La Pulce e il Prof.’ è il titolo della sua prima rubrica su Radio Radio, alla quale è dovuta la notorietà del personaggio che poi anche Salvini e Gasparri sono stati costretti a riconoscere. A dire il vero, all’interno dei suoi curriculum, di solito nelle ultime pagine e con la scelta costante dell’ambiguità, il candidato alla resurrezione della Roma caput mundi, degli imperatori e dei grandi papi tenta di concedere qualcosa al carattere così provvisorio del suo titolo. Talvolta con allusioni che solo l’esperto di ordinamento universitario è in grado di intendere e talvolta anche con più ‘astute’ ambiguità.
Si veda, ad esempio, l’ultimo curriculum pubblicato sul sito di Gazzetta Amministrativa. La prima pagina è intestata al ‘Cav. Prof. Avv.’, la pagina 2 riferisce i titoli e le qualità personali più significative tra cui quella di ‘Docente di Diritto pubblico e dell’innovazione amministrativa, Corso di Laurea in “Economia Aziendale” presso il Dipartimento Economia e Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino” e solo la pagina 12 di 18 rivela chiaramente che Michetti è un professore a contratto. Non per nulla gli è stato corrispondo un compenso da 1390 euro e 20 centesimi l’anno a fronte di 42 ore di lezione (più ricevimento degli studenti, vari obblighi burocratici, partecipazione a esami e a tesi).
Se Giorgia Meloni un giorno dovesse riconoscere di avere sbagliato a riporre tanta fiducia in Enrico Michetti, non se ne vorrà più di tanto, perché sono tante le personalità autorevoli che hanno concorso a non garantire il suo “affidamento”, per usare le parole del Consiglio di Stato. La baldanza nell’abuso del titolo ha tratto in inganno, oltre ai citati ministri, anche il Segretario Generale e lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi che nel 2017 hanno proposto il ‘prof.’ Michetti all’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. C’è cascato pure il Quirinale. Anche nel decreto concessorio del Presidente della Repubblica Michetti fu indicato come “professore”. La dicitura, evidentemente, sfuggì all’Ordine al merito della Repubblica Italiana (OMRI) che avrebbe dovuto verificare la correttezza della procedura di proposta. Risultato: neppure a Mattarella fu risparmiato l’oltraggio di premiare il prof che non c’è mai stato.