di Annarita Sirignano
Mi chiamo Annarita, ho 30 anni, sono laureata in giurisprudenza a pieni voti e abilitata all’esercizio della professione forense.
Da circa cinque anni, trascorro gran parte delle mie giornate sui libri, studiando per il concorso in magistratura. Tra i miei mille “difetti”, ho una disabilità motoria dovuta a un errore medico occorso durante il parto.
La mia vita non è mai stata facile: non ho equilibrio, non riesco a deambulare senza ausili e ho dovuto faticare persino per poter svolgere in autonomia azioni quotidiane.
Spesso, poi, ho vissuto sulla mia pelle il peso delle barriere, tanto architettoniche quanto – ahimè – mentali. Una volta, durante l’adolescenza, i miei compagni di classe, discorrendo di una gita scolastica ed esprimendo perplessità in ordine alla mia partecipazione, mi definirono “una responsabilità troppo grande da prendersi”. Pensai fosse il momento più brutto della mia vita e mi sentii estremamente sola e diversa.
Fu in quei giorni che, superato lo sconforto, capii quale sarebbe stato lo scopo degli anni a venire. Smisi per sempre di chiedermi “perché proprio a me?” o di cercare cure miracolose e decisi che avrei lottato affinché tutti potessimo avere le stesse opportunità, anche solo di divertirci.
Poco dopo, tra un esame di diritto e l’altro, si è fatta strada in me l’idea di diventare magistrato. La toga, mio sogno ormai da un decennio, rappresenta più di un possibile lavoro: sarebbe il modo di schierarmi dalla parte dei “dimenticati”, di evitare che altri possano dover affrontare ciò che già ho vissuto io e – più romanticamente – di dare un piccolissimo contributo per rendere il mondo un posto migliore.
Sono consapevole di quanto il percorso intrapreso sia arduo e – sia chiaro – non pretendo né ho mai preteso sconti per via della mia condizione. Del resto, dato l’impegno profuso nello studio, non credo di averne bisogno.
Già due mesi dopo la laurea, ho iniziato a seguire una scuola ad hoc e lo faccio tuttora. Il mio obiettivo è sempre venuto prima di tutto. Ho cercato di evitare ogni cosa o persona che potesse distogliermi, sacrificando persino la salute pur di garantirmi una formazione adeguata.
A causa della mia patologia, ho difficoltà a scrivere velocemente tanto a mano quanto al pc. Per svolgere le simulazioni del primo corso frequentato impiegavo anche 12-13 ore. Con costanza sono riuscita a ridurre i tempi, rientrando più o meno nelle 9 ore a me concesse. Non amo confessare questo mio deficit perché, in apparenza, le mie mani non hanno nulla che non vada e, comunque, non è mai facile accettare l’idea che il corpo possa, in parte, sfuggire al proprio controllo.
Di recente, il Governo, con D.L. 44/2021, ha modificato le modalità di svolgimento delle prove scritte, prevedendo, tra le altre cose, il dimezzamento delle ore concesse per ciascuna di esse.
Ho deciso, non senza sofferenza, di saltare questa tornata concorsuale. Sono certa che, date le mie premesse, quattro ore siano davvero troppo poche per scrivere un tema di diritto. So che potrei chiedere di avvalermi di un amanuense, ma temo – e sfido chiunque a dimostrare il contrario – che dettare a terzi possa deconcentrarmi. Inoltre, nonostante la presentazione di cospicua documentazione medica attestante la mia patologia neurologica, mi sono stati concessi, come tempi aggiuntivi, appena 30 minuti.
Capisco che siamo ancora nel mezzo di una pandemia e mi rendo conto che la tutela della salute pubblica sia doverosa. Temo, però, che tali modifiche – dichiaratamente pensate, oltre che per ridurre il rischio di contagio, per velocizzare i tempi di correzione degli elaborati – possano, da temporanee, diventare permanenti. Del resto, concorsi di analoga difficoltà – persino aperti a più partecipanti – hanno mantenuto, anche in questi mesi, le canoniche 8 ore (elevabili a 9 per i candidati con disabilità).
Non sono più una liceale in attesa di gita scolastica, eppure mi sento, ancora una volta, esclusa.
Ho paura che i sacrifici sostenuti negli anni siano stati vani e che la mia disabilità (finora mai considerata un limite invalicabile) possa invece fungere da barriera ai miei sogni. Mi fa male constatare come la tanto citata uguaglianza sostanziale, caposaldo della nostra Costituzione, sia in certi casi mera petizione di principio, sacrificabile in virtù persino di esigenze di semplificazione amministrativa.
Non chiedo sconti o favori, solo che non venga negata a me o ad altri la possibilità di combattere “ad armi pari”.
Grazie di avermi concesso di raccontare la mia storia.