Il cashback è stato abolito. La misura, introdotta dal governo Conte, che consentiva agli italiani che usano le carte di pagamento al posto del denaro contante, di ottenere un modesto rimborso nell’ordine di un centinaio di euro, è stata cancellata. Alcuni ne rimpiangono “il successo”. Era costata finora 1,5 miliardi di euro alle casse dello Stato e per il 2022 avrebbe pesato per circa 3 miliardi. Onestamente, il provvedimento era anche legato a una riffa tra tutti gli utilizzatori, che non giovava certo alla serietà apparente della misura.

Ma, sinceramente, non era gran cosa, aiutava gli italiani a migliorare le proprie abitudini, senza rivoluzionarne i costumi e complessivamente non avrebbe lasciato segni particolari da nessuna parte. Era una misura di facciata, un segnale, un timido tentativo, un provvedimento certamente non rivoluzionario, in altre parole “una di quelle cose con le quali o senza le quali il mondo resta tale quale”, che esprimeva più dei sentimenti, più un’atmosfera che dei fatti concreti. Perché allora scandalizzarsi per la sua scomparsa, perché protestare per la sua cancellazione, perché rischiare di farne l’ennesima tempesta politica nel bicchiere d’acqua, una battaglia dove la vittoria e la sconfitta restano sempre equivalenti?

Purtroppo, il punto è sempre lo stesso. Nonostante la supervisione ravvicinatissima, burocratica e occhiuta della Commissione Europea, nonostante l’aspetto serio e computo, professionale e circostanziato di Draghi e della gran parte dei suoi ministri, stentiamo a fare le cose sul serio, a mettere le mani (e il bisturi) dove indispensabile. La politica con la sua irresponsabilità legalizzata, la scarsa professionalità ormai radicata delle classi dirigenti non lo vogliono. Nonostante tutto, soprattutto nonostante la gravità della situazione culturale, sociale ed economica del paese, si stenta a fare una lista delle priorità degli interventi, e anziché iscrivere alla colonna delle urgenze le decisioni fondamentali per il cambiamento (riforma del fisco, nuova legge bancaria, ripristino della centralità del lavoro, interventi infrastrutturali su scuole e università, riforma della Giustizia etc.) preferiamo dedicarci a cose marginali, sulle quali – se possibile – avviare dibattiti fiume/fumo, per la gioia dei telespettatori.

Meglio invece pensare che tutto sia finito e che si possa riprendere come prima, più di prima. Guai a pensare che ripartire invece significhi avviarsi su una strada radicalmente diversa, scordarsi di quello che abbiamo fatto finora (e molto era sbagliato) e incamminarci su una via completamente diversa, perché forse la Pandemia avrebbe dovuto svelarci molti dei nostri moltissimi errori.

Le cose sembrano non voler cambiare ancora una volta e la decisione del governo Draghi di abolire il cashback va in questo senso. Nugae (latino), inezie, bagatelle, mentre attorno purtroppo rischia di scorrere il sangue. Non credo sia una questione di risparmio vero, il dietro front sui rimborsi è un segnale politico, ci dice che oggi a governare sono altri. E che è meglio toccare sul poco o sul nulla. The Times They’re a changin’ ancora una volta, ma non ne vediamo gli sperati segnali.

Che dovrebbero essere forti e soprattutto rapidi nella loro attuazione. Certo un governo saggio non deve allarmare gli italiani, ma soprattutto non dovrebbe mentire. Sarebbe ora di dire seriamente che gran parte di quello che abbiamo fatto fino a ieri non dovrà più essere ripetuto, che è suonata l’ultima campana. Che è ora di concentrarci tutti insieme, non solo la politica, il governo, ma tutto il paese, con urgenza su provvedimenti seri e radicali, che diano il segno della nuova epoca, in cui gli errori del passato vengano finalmente corretti. Ci si potrebbe perfino scordare di quello che abbiamo fatto fino a oggi, dimenticare il cashback e tutto il resto per evitare di piangerci addosso, perché è ora di pensare alle cose serie.

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