Apre il 2 luglio a Livorno una mostra che "riscopre" l'artista postmacchiaiolo, morto cent'anni fa, 5 mesi dopo Modigliani
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento nell’arte si verificarono diversi cortocircuiti. La pittura impressionista stava scrivendo una nuova pagina di storia delle espressioni artistiche e veniva ammirata e studiata un po’ ovunque, con artisti che si ritrovavano, inaspettatamente, a svolgere il ruolo di influencer – diremmo oggi – a livello continentale. L’Italia non sfuggì alla regola. Dal 2 luglio al Museo della città di Livorno, ne potremo avere una riprova con la mostra Mario Puccini ‘Van Gogh involontario’. Una collezione riscoperta e altri capolavori” aperta fino al 19 settembre. Curata da Nadia Marchioni affiancata da un comitato scientifico formato da Vincenzo Farinella, Gianni Schiavon e Carlo Sisi, l’esposizione celebra il centenario della morte del pittore livornese (che avvenne 5 mesi dopo quella di Amedeo Modigliani) e estende le ricerche avviate in occasione dell’esposizione di sei anni fa al Palazzo Mediceo di Seravezza, in provincia di Lucca.
Obiettivo della mostra – in tutto 140 opere divise in otto sezioni – è di seguire lo sviluppo della carriera artistica di Puccini dal suo esordio, a partire dai rari ritratti della fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, in cui si evidenzia il legame con l’ambiente artistico fiorentino di fine secolo e con i maestri Giovanni Fattori e Silvestro Lega, alla maturità dell’istintivo colorista, così come si manifestò dopo i cinque anni trascorsi negli ospedali di Livorno e Siena dove, ricoverato per “demenza primitiva”, fu dimesso dagli psichiatri nel 1898 e affidato, “non guarito”, alla custodia del padre, permettendogli di riacquistare la libertà. La malattia mentale, oltre all’appassionato utilizzo del colore, ha contribuito a creare la suggestione, poi diventata ipotesi storico-critica, di un legame fra la pittura di Puccini e quella di Van Gogh, la cui opera il livornese aveva effettivamente ammirato, assieme a quella di Cézanne, nella celebre collezione fiorentina di Gustavo Sforni, con il quale entrò in contatto grazie a Oscar Ghiglia, uno degli amici più stretti di Modigliani a Livorno.
La “riscoperta” di Puccini è stata possibile grazie a una collezione poco nota che diventa il fulcro centrale della mostra. “La prima sensazione provata di fronte a questa collezione – dice Carlo Sisi, già direttore della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti e tra i massimi conoscitori della pittura italiana a cavallo tra XIX e XX secolo – è la meraviglia, poiché si dava per scontato di conoscere un autore, collocato tra i pittori livornesi, ma di cui in effetti si sapeva poco e quindi si pensava di aver risolto il problema. Invece Puccini fu protagonista dell’arte toscana tra Ottocento e Novecento e oggi questa mostra non può che essere considerata una bellissima riconquista”.
Il percorso espositivo si rivela appassionante: la prima sezione è dedicata agli esordi di Puccini in un contesto tardo ottocentesco dove in Toscana, e non solo, giganteggiavano le figure di Fattori e Lega; la successiva documenta l’interruzione forzata della ricerca artistica del giovane pittore dovuta alla crisi psichica. La terza sezione è dedicata all’ideale legame profondo che unì per tutta la vita Puccini al maestro Fattori e al superamento del suo insegnamento; quindi, dopo il silenzio che regna nell’arte di Puccini nella seconda metà degli anni Novanta, la quarta sezione mostra il suo ritorno alla pittura, in una veste completamente mutata; infatti l’attenzione dell’artista non è più concentrata sullo studio della figura umana, ma si allarga al paesaggio che lo circonda. La quinta sezione prosegue l’indagine sul dinamico panorama culturale cittadino, presentando due importanti e vasti dipinti eseguiti da Puccini raffiguranti Il Lazzaretto di Livorno, uno dei quali eseguito, assieme ad un grande disegno a carboncino, per la decorazione di una sala del Caffè Bardi, storico luogo di ritrovo degli artisti livornesi (fino agli anni Venti), lo stesso dal quale – secondo la leggenda – Modigliani uscì sdegnato per andare a gettare nel Fosso Mediceo le sue teste scolpite, oggetto di derisione dei colleghi e simbolo della clamorosa beffa del 1984.
La sesta sezione della mostra di Puccini, infine, porta fuori dalla città toscana: l’artista è a confronto con diversi paesaggi che ritraggono le Alpi Marittime, la campagna fra Livorno e Pisa, i dintorni di Castiglioncello, la Maremma; a seguire, un’altra sezione è dedicata al mondo quotidiano del popolo e dei lavoratori, mentre l’ottava propone una scelta di ritratti e nature morte.
Vi è poi un’ulteriore sezione che evoca, come antefatto all’opera matura di Puccini, Il giardiniere di Van Gogh oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, prima opera dell’artista olandese esposta in Italia, a Firenze, alla Prima Mostra italiana dell’Impressionismo nel 1910, dopo essere stata acquistata a Parigi da Gustavo Sforni, nella cui collezione fiorentina Puccini poté ammirarla durante una documentata visita. Completa la mostra livornese un’ultima sezione documentaria dove, tra l’altro, si può leggere la lettera che il critico d’arte Emilio Cecchi scrisse nel 1913 alla moglie Leonetta Cecchi Pieraccini – e che oggi è custodita nell’Archivio contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze – e nella quale definisce Puccini, “un Van Gogh involontario”.
INFO MOSTRA
Mario Puccini | “Van Gogh involontario”. Una collezione riscoperta e altri capolavori
Curatrice | Nadia Marchioni
Quando | 02.07.2021 – 19.09.2021
Dove | Museo della Città, Piazza del Luogo Pio, Livorno
Orari | Mar-ven dalle 10 alle 20, sab-dom dalle 10 alle 22. Lun chiuso
Biglietti | Intero 8 euro, ridotto 5, cumulativo con Museo Fattori 12
Info | Tel. 0586 824551 – museodellacitta@comune.livorno.it
Web |fondazionelivorno.it
Social | Facebook: @museodellacittadilivorno – Instagram: @museodellacittalivorno